di Massimo Baldi [*]
Questa breve riflessione prende le
mosse da due documenti:
1. una
lettera che alcuni militanti del Partito Democratico della mia provincia
(Pistoia) hanno inviato nei giorni scorsi al segretario Marco Niccolai e, per
conoscenza, a tutti i membri dell’esecutivo, tra cui il sottoscritto;
2. un’intervista
rilasciata da Romano Prodi al «Messaggero» lo scorso 9 dicembre, all’indomani
del congresso in cui Matteo Renzi è stato eletto segretario nazionale del
Partito Democratico.
Partiamo dalla lettera. In breve
(il testo integrale si trova qui), i mittenti chiedevano alla segreteria provinciale
del partito una «piena rassicurazione circa lo svolgimento delle primarie» all’interno
dei territori comunali interessati dal voto amministrativo della primavera
prossima.
Vi si leggeva inoltre che «le primarie sono uno strumento di
democrazia e di partecipazione ormai irrinunciabile mediante il quale ai nostri
elettori viene riconosciuto il diritto di scegliere il candidato e il programma
migliori per opporsi alle altre forze politiche e vincere le elezioni». La
risposta del segretario non si è fatta attendere (il testo integrale è qui).
Niccolai ribadisce che le primarie si svolgeranno e che la segreteria riconosce
il loro primato statutario come metodo di selezione delle cariche monocratiche.
È inoltre suo auspicio che le primarie – sul cui svolgimento anche all’interno
della segreteria non è mai stato posto, mi fa piacere confermarlo, alcun dubbio
– siano precedute, arricchite e seguite da un serio e costruttivo dibattito
politico. Che non si riducano, cioè, a un metodo di selezione di una persona,
ma che siano un vero, leale e audace confronto di idee e di programmi. Dunque
il segretario dice sì alle primarie e sì alla loro vitalità. E questo, oltre a
farmi piacere, mi invita ad un approfondimento sulle primarie non come tematica
marginale, oggetto di uno sterile ‘dibattito sulle regole’, ma come questione
politica di primo rango.
Le elezioni primarie si svolgono per la
prima volta nel 1847 in Pennsylvania, si diffondono negli USA meridionali dopo
la Guerra di Secessione e finiscono con l’affermarsi tra la fine dell’800 e gli
inizi del 900 in tutto il territorio americano. Il fenomeno, che rappresenta un
fatto politico di grande importanza, trova la propria origine nella crisi dei
partiti e nella necessità di pensare e organizzare un sistema di partecipazione
democratica che, pur avendo ancora nel partito la propria piattaforma ‘naturale’,
non affidi le scelte decisive su chi dovrà guidare il/i paese/territori a una
classe politica numericamente esigua e scarsamente rappresentativa delle
esigenze dei cittadini. Ed è proprio quanto dice Prodi nell’intervista che
menzionavo: «le primarie sono nate in America quando i partiti come strutture
stabili si sono indeboliti e sono diventati sempre più una macchina per
indicare quelli che avrebbero dovuto ricoprire incarichi politici. Insomma un elemento
di democratizzazione del sistema politico». E poche righe più in alto, alla
domanda del giornalista sul valore delle primarie, Prodi risponde: «è stata una
intuizione che abbiamo proposto quando abbiamo visto che era diventato
chiarissimo che i partiti non erano più un punto di riferimento» (l’intervista
integrale si trova qui).
Come risposta alla crisi rappresentativa
dei partiti, le primarie incarnano dunque un’esigenza politica che non può
essere ridotta a mera questione di strumenti e di metodi. Con l’affermarsi
delle primarie si afferma anche un primato del pensiero democratico – della
democrazia stessa! – su ogni forma di investitura e di delega a cui esso si è
tradizionalmente affidato. E si afferma l’idea che, se è vero che i partiti
rappresentano sinora l’unica forma di associazione capace di farsi protagonista
di una scena democratica, è ancora più vero che tanto le norme e la coerenza
interna quanto le vicende storiche che riguardano la vita dei partiti non
possono in alcun modo rappresentare un limite o una barriera per la piena
espressione della volontà e dei desideri politici del popolo (del demos)
cui è assegnato il potere (il kratos).
Dire di sì alle primarie non significa
dunque, per il Partito Democratico, dire di sì a un attrezzo tra i tanti.
Significa stabilire – o ristabilire – un giusto ordine democratico tra volontà
popolare e rappresentanza politica in una fase in cui – realisticamente –
uomini lucidi e generosi (come Romano Prodi) hanno rilevato che quell’ordine
non poteva essere rispettato se si lasciava ai soli organi di partito l’onere e
il diritto della scelta su chi ci deve governare. L’idea di base che si afferma
con le primarie è quella per cui aprirsi alla volontà democratica di chi, pur
non partecipando direttamente alla vita di partito, è parte di quella
moltitudine di cittadini che in quel partito fa o potrebbe fare affidamento,
rappresenta per la classe politica presente e futura un motivo di
arricchimento, di messa in discussione e, in caso di vittoria, di piena
legittimazione (per questo il prossimo passo che il Partito Democratico dovrà
compiere, ineluttabilmente, sarà quello di selezionare con questo spirito di
apertura e di fiducia anche i gruppi dirigenti territoriali).
Dire di sì – sempre e comunque! – alle
primarie, come faremo nella nostra provincia tra poche settimane, non è una
mera questione di opportunità – nemmeno dell’opportunità di una nuova classe
politica di sostituire quella tradizionale. Dire di sì – sempre e comunque! –
alle primarie significa mettere insieme nel migliore dei modi il più antico
pensiero democratico e le più attuali esigenze del nostro paese, dei nostri
territori, dei nostri cittadini. Significa rispondere alla paura di chi vuole
conservare con il coraggio di chi vuole rinnovare, alla superbia di chi si
crede potente in ogni luogo e in ogni tempo – come Berlusconi – con l’umiltà di
chi accetta di essere giudicato e messo in discussione in ogni momento.
Significa dire al nostro elettorato e ai nostri cittadini: prima di tutto i
vostri bisogni, la vostra intelligenza, i vostri desideri, poi il resto.
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[Mercoledì 8 gennaio 2014 | 07:34 - © Quarrata/news]
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