di Luigi
Scardigli
Oggi pomeriggio incontro pubblico
alla libreria ‘Lo Spazio’ di via
dell’Ospizio
Monumentale. Poche altre volte, a teatro, mi sono emozionato
così. Ieri sera, però, Monica Guerritore ha superato se stessa, la sua
alterigia, la sua altezzosa antipatia, la sua inavvicinabile bellezza, il suo
disarmante fascino, la sua straordinaria elasticità del corpo e del cuore, la
sua semplicità, la sua comprovata corrispondenza, inabissandosi, senza alcuna
possibilità di riemergere, nella storia che si fa leggenda, nella leggenda di
una storia molte altre volte raccontata, ma mai così.
Le è bastato poco più di un’ora, tempo nel quale ha portato
in scena il suo ultimo lavoro, Mi
chiedete di parlare, per raccontarci un’altra Oriana Fallaci, icona
giornalistica e bibliografica, certo, ma soprattutto donna divorata dalla
solitudine, che nel tempo e con il tempo, è diventata la sua certa e
insostituibile compagna.
Lo ha fatto al teatro Manzoni, Monica Guerritore, aprendo l’ultimo
fine settimana di prosa di questo cartellone 2011-12, una stagione che ha
deciso di chiudere i battenti affidando l’arrivederci a una delle più grandi
interpreti italiane, un animale da palcoscenico, una fiera addomesticata a
spaventare, un giunco appassito sul tramonto, un caleidoscopio di ricordi, una
donna dalla bellezza imbarazzante, disarmante, che vanta un’invidiabile presenza
scenica, così notevole da ingolfare un palco praticamente vuoto, sgombro,
appoggiato a due librerie poste ai lati, ricoperte da cellophan e uno sfondo
sul quale Enrico Zaccheo si è sbizzarrito non poco a riprodurre il sonoro di un’intervista
muta, quella fantascientifica e irreale che Monica Guerritore ha voluto fare a
se stessa, prima che alla Fallaci e a tutte le donne del mondo, reporter di
guerra, eroine dei due mondi, mogli, madri, casalinghe.
Donne.
New York New York, di Liza Minnelli, con i grattacieli della grande mela che scappano via veloci da
una telecamera in movimento, l’odore acre del petrolio bruciato nei pozzi del
Kuwait, alcuni primi piani asimmetrici di qualche dittatore, ebrei e musi
gialli accostati nelle fosse comuni dell’odio e della violenza, Firenze, il
declino, la malattia, l’amore interrotto, il colore della copertina di un
libro, i primi cedimenti alla malattia, la voglia di resistere, la morte,
impresentabile e vergognosa, comunque meglio, soprattutto di nulla.
Con la mansueta Lucia Mininno nei panni di una
segretaria-badante e questa ricerca a macchia di leopardo della vita di Oriana
Fallaci, intrappolata nella morsa di una donna leggendaria che avrebbe voluto
poter urlare la propria libertà anche al cospetto di una tavola da stiro,
forse, a patto che anche lì, il suo talento, avesse potuto fare la differenza,
al punto da renderla odiosa proprio come pare abbia fortemente desiderato, un
pilotato snobismo dal quale è poi stata deglutita.
Anche Monica Guerritore, al di là del parallelismo della
malattia, che la camaleontica attrice è però riuscita a sconfiggere, pare possa
correre i medesimi rischi di sontuoso isolazionismo nel quale questa comunità
di allineati potrebbe decidere di sacrificarla.
Sarà il pubblico, però, a salvarla, come è successo ieri
sera e come replicherà oggi pomeriggio, nell’incontro che avrà alla libreria Lo
Spazio, in via dell’Ospizio alle ore 17:30 e come ricapiterà stasera, nella
replica al Manzoni e domenica pomeriggio, per l’atto finale, sulle note di Mr
Robinson, cantata, a New York, da Paul Simon e Art Granfunkel.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
Foto di Luigi Scardigli.
[Sabato 24 marzo 2012 - © Quarrata/news 2012]
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