di LUIGI SCARDIGLI
Al Moderno di Agliana un divertente psicodramma
AGLIANA. Stereotipi. Ne siamo pieni, fin sopra i capelli, quando
questi ci sono. Ma ci servono terribilmente. A prendere le distanze dagli
altri, a differenziarci. Spesso solo a riconoscerci. Ed è già un’impresa.
Titanica.
Un’altra dimostrazione, bella,
minimale, rumorosissima, è stata offerta ai fortunatissimi ospiti paganti del
Moderno di Agliana ieri sera, quando sul palco visto alle spalle, sono saliti
Francesco Pennacchia e Gianluca Stetur che hanno inscenato, sotto la regia di
Claudio Morganti e la drammaturgia di Rita Frongia, La vita ha un dente d’oro, antica espressione bulgara che dalle
nostre parti vorrebbe dire che nel mare delle verità nuotano invisibili delle
menzogne.
No, non crediate che la
rappresentazione sia stata una noiosa controtendenza artistica; anzi, si è
tuffata a capofitto nei luoghi comuni sbeffeggiandoli con quel senso di gravosa
austerità che è sembrato tutto vero. Che i due visionari seduti uno di fronte all’altro ad un tavolino fossero
davvero dei migranti in cerca di
calore e di un gioco con le carte che potesse familiarizzarli e che poco
distante dai loro idiomi disalfabetizzati ci fosse un cane, o un animale
ammaestrato soltanto da uno di loro e che la luce lontana fosse quella di un
faro e che nella bottiglia di vetro trasparente ci fosse davvero del morse, liquore russo potentissimo che
stordisce alla sola vista, anche senza berlo.
Un gioco, pericolosissimo, perché senza
rete, al contrario, con le spalle alla platea, vuota, lasciata ancor più sola
all’inizio dello spettacolo, quando il sipario si è finalmente chiuso e i tre
occhi di bue si sono concentrati ad illuminare, mettendoli alla berlina, quel
metro quadrato scarso del tavolino dove si è consumato un incontro, un’amicizia,
una vita, una forbice esistenziale nella quale han trovato posto le divertenti
isterie e le commoventi tenerezze di incomprensioni così grandi da non poter
essere spiegate, dunque risolte.
Attorno a mimiche facciali della
miglior tradizione, iniziata con i fratelli De Rege e proseguita fino ai
vocalismi delle Voci Atroci,
diaframmi gettati alle ortiche dei nonsensi e resuscitati dal palcoscenico,
raccoglitore per nulla differenziato di larve e talenti, dove strisciano
serpenti e volano, maestose, aquile reali che a guardar bene sono solo delle
mosche.
Provateci voi ad inseguirvi la faccia e
a mordervi le gengive: è come disegnare Guernica,
o come vestire di hardrock una chitarra amplificata e poggiata lì, al di là
della siepe, dietro il sipario, epilogo sonoro e metallico di una
rappresentazione fallibile, convertibile in altra moneta, trasportabile
altrove, viaggi immaginari ed interminabili che non cambieranno di una sola
virgola un copione adattato alla bisogna, che si fida e confida nel groove di questi poveri cristi di
attori, assecondati, meravigliosamente, dalla esilarante drammaturgia di Rita
Frongia.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
Foto di Luigi Scardigli.
[Sabato 30 novembre 2013 | 12:01 - © Quarrata/news]
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