di LUIGI SCARDIGLI
Ma lo spettacolo era troppo concentrato
e talvolta ermetico e di non facile afferrabilità
PISTOIA. Non sempre si può assistere ad uno spettacolo teatrale con
il desiderio di soddisfare il sano e rispettabilissimo principio del
divertimento, dello svago. Alcune volte – e ieri sera è stata una di queste –
occorre munirsi di massima attenzione e non concedersi distrazioni, nemmeno
emotive: bisogna stare concentrati sul pezzo
e ripercorrere, obbligatoriamente, le nostre conoscenze storico-letterarie e
capire di cosa stiano parlando quei tre sul palco.
I tre Fantasmi infatti, che oggi pomeriggio alle 16, si presenteranno sul
palcoscenico del Manzoni per la seconda e ultima replica, si sono surrealmente
sbizzarriti, sbocconcellando
Pirandello e Beckett e lasciando, spesso, attoniti, gli spettatori, estasiati
dalla leggerezza della recitazione, ma non sempre coordinati con la loro
metrica, soprattutto durante il monologo di Margherita Smedile, che si è
intromessa tra le folli, ironiche ma intuibili conversazioni tra Totò e Vicè
(Enzo Vetrano e Stefano Randisi, che hanno anche firmato la regìa), sospesi tra
la vita e la morte, tra l’inutilità e la scomodità della morte e l’ingegnosa
resurrezione, Gianni e Pinotto
vietato ai minori.
E che lo spettacolo non ricalcasse gli
abituali copioni molti l’hanno capito durante il popolamento della sala, nella
quale si sono aggirati, curiosi e impauriti, due folli figuri, che dopo aver
stordito i presenti, hanno preso la via del palco per andare ad incominciare. Uno spettacolo breve, ironico,
difficilissimo, reso ancor meno deglutibile dall’impostazione linguistica e
sintattica di Franco Scaldati, che ha curato le conversazioni borderline
di Stanlio e Ollio alle prese con la
metempsicosi.
L’atto, unico, si svolge al di qua e al
di là di binari che trasportano sogni e paure, non vagoni, nonostante spesso si
oda il rumore del treno; un’ombra inquietante rilancia in sala le figure
bislunghe dei protagonisti, con un gioco d’ombre che deformano, paurosamente,
le dimensioni dei protagonisti, rendendoli ora troppo grandi per esser veri,
ora troppo piccoli per essere credibili. Un pezzo di ferrovia tagliata dal
tempo e dalle stazioni, restata incolume ad un bombardamento bellico o soltanto
alla guerra che ognuno di noi si porta dietro, dentro.
Insomma, a me, la visione di ieri sera,
non è bastata: occorrerebbe tornare alla carica e vederli di nuovo all’opera;
non foss’altro per annusare la loro discrezione scenica, il loro tatto, la loro
incruenta esplosività, ma principalmente per cercare di capire qualcosa in più
del molto, troppo, che ieri sera, onestamente, mi è sicuramente sfuggito.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
Foto di Luigi Scardigli.
[Domenica 17 febbraio 2013 | 10:05 - © Quarrata/news]
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