venerdì 14 giugno 2013

LE SORPRESE DEL ‘WALLACE’


di LUIGI SCARDIGLI

Pietro Taucher, Chiara Luppi e Carmine Bloisi nella ‘caverna’ di piazza Mercatale

PRATO. Il Wallace di Prato, il pub storico della città, è davvero un posto magico, incantato, lontano e fuori da ogni regola. Come l’amore ai tempi del colera, tanto per intenderci, o la musica in quelli della crisi. Ieri sera, tanto per scendere nei dettagli, nell’afosa caverna di piazza Mercatale, improvvisamente, le decine di persone che degustavano birra, sorrisi ammiccanti e la prima stellata d’estate ai tavolini fuori, si sono catapultati all’interno: non se ne poteva fare a meno, perché sul palco si esibivano tre padovani; anzi, due padovani ad origine controllata e uno acquisito.

Gli indigeni dell’ex terra della Lega erano Pietro Taucher all’organo Hammond e Chiara Luppi alla voce; la batteria la sorreggeva, in punta dei piedi, Carmine Bloisi, catapultato nella provincia veneta per motivi sentimentali. È stato il soul, l’anima della serata, almeno fino a quando ho deciso di lasciarmi incantare; poi, a People get ready, che mi sono riascoltato fino all’esasperazione in macchina nella versione Jeff Beck-Rod Stewart, ho deciso di andarmene. Le lancette avevano già oltrepassato la mezzanotte ed io dovevo ancora rincasare, facendo prima tappa obbligata al bar La Repubblica, per il solito cappuccino e una brioche d’altri tempi e poi mettermi curvo a divorato dalla nicotina sul mio net book, a scrivere.
Faccio quasi sempre così, quando ascolto musica: eleggo un momento della serata come il tratto apicale del groove e lì stacco la spina emozionale, riponendo tutte le informazioni ricevute fino a quell’istante nella mia cesta elastica, che è quella che mi spinge a raccontarvi la notte, la musica, un tratto della mia vita.
Chiara Luppi, con gli stivaletti con tacco dodici resi meno ingombranti da una zeppa equosolidale, una gonnellina da paggetta e un viso terribilmente equivoco, ha tutta l’aria di essere un’ex pornodiva, che se solo il tempo glielo concedesse, saprebbe lei come fare per aizzare i furori maschili. Succede fino a quando il suo conterraneo Pietro Taucher non la mette in difficoltà dando il la ad un intro ingannevole: la ragazza, una veneta che trasuda voglia di vivere, inizia ad ondeggiare ritmicamente il collo, come se la testa le fosse stata applicata sul busto in un secondo momento; il diaframma si accorda agli sguardi del pubblico che aspetta di essere trafitto, l’ugola sorride e spara, il microfono ha solo da essere acceso, ricevere le informazioni e renderle per quelle che valgono.
Meravigliosa, intensissima, eccitante: Chiara Luppi ha il palcoscenico nel sangue, anche se le mani, per nulla affusolate, lascerebbero pensare che fino a quando chi di dovere non si è accorto della sua voce, la ragazza abbia sbarcato il lunario in trasferta, in una risaia del vercellese. Anche Pietro Taucher è padovano: l’organo Hammond che strapazza e circuisce è la macchina con la quale gira in lungo e in largo i cuori degli spettatori; gli anelli che gli occupano alcuni dei metatarsi delle dita sono un ricordo, mai sopito, di stagioni di sogni ed illusioni, alcune delle quali, fortunatamente, vissute anche al risveglio. In fondo alla grotta, dove abitualmente si mettono a riposare le bottiglie più pregiate di rossi irripetibili, con un completo scuro e scarpette da ginnastica Adidas, ma senza lacci, proprio à al page, Carmine Bloisi, che non ama, per timidezza, essere incensato, ma che tra tom, rulli e piatti è sempre più grosso, autorevole, concentrato e sorridente, come si conviene a quelli che, oltre a suonare, non san fare praticamente altro.
In sala, oltre a qualche bikerista, il solito stuolo di appassionati (assente ingiustificata Giuliana Monti), alcuni dei quali particolarmente attendibili: i due chitarristi stabili del pub pratese, Marco Banana Pieraccini e Leonardo Ricotti; il vocalist Andrea Ranfagni, che aspetta dalla sua bellissima compagna il quarto pargolo della sua vita, ma che non poteva disdegnare dell’ugola di una collega tanto intrigante e Michele Papadia, una tastiera-divinità, non solo al Wallace.
Sono venuto via quando la serata era abbastanza calda ma non aveva ancora emesso la sua sentenza notturna: l’ho fatto perché mi bastava quello fin lì raccolto per rispedirlo ai lettori di questo Blog, sperando che al vostro risveglio, facciate parte dell’oltre milione di visitatori che ci impongono di non fermarci e ci autorizzano a fantasticare. Carmine Bloisi compreso: lo scrivo perché se no, anche stavolta, aspetta che qualcuno posti il pezzo su facebook, per leggerlo!

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Foto di Luigi Scardigli.
[Venerdì 14 giugno 2013 | 07:57 - © Quarrata/news]

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