di LUIGI SCARDIGLI
Grande interpretazione
del Vanja di Cechov al Manzoni
PISTOIA. Anche senza indossare gli abiti lisi e derisi di un patetico,
ma a volte tenero zio Vanja, Sergio Rubini, la scena, se la sarebbe divorata comunque.
E con lui, ieri sera, a dividere il palcoscenico del Manzoni a Pistoia, in prima
nazionale, c’era un signore che si chiama Michele Placido, che se è pur vero che
diventa irresistibile come regista, vederlo lavorare resta comunque un piacere.
Ma Marco Bellocchio, il regista di questo riadattamento teatrale,
che ha seguito con calma apparente i suoi pupilli dal fondo del teatro, restando
anonimamente tra il pubblico, sapeva benissimo che l’animo del burbero e fallito
zio Vanja, rivitalizzato da un mattatore come Rubini, sarebbe magicamente resuscitato,
senza far avvertire al pubblico il peso di oltre un secolo dal giorno suo battesimo.
Certo, il corollario ha fatto il resto, con una precedenza doverosa
a Giovanni Carluccio, lo scenografo, che con un’illuminazione obliqua di un impianto
minimalista ha scandito il tempo, oltre che le stagioni e le ore, lungo oltre un
secolo, di questo drammone sovietico, ingentilito da un nonsenso che ha reso meno
tragico il nichilismo collettivo ed imperante dell’intera rappresentazione. Animata
dallo spirito maledetto del dottor Astrof
(Pier Giorgio Bellocchio), un medico ambientalista e futurista, vittima e carnefice
del proprio fascino, un voyeur, certo,
ma politicamente corretto; dalla tenera e straripante tenerezza di Sonia (Anna Della Rosa), che si arrende alla
propria non bellezza e dopo aver coltivato l’illusione di essere amata, risorge,
anch’essa, riprendendo gli affari contabili della tenuta dello zio Vanja e con Lidiya
Liberman (Elena), la seconda moglie del
professor Serebriakoff (Michele Placido),
una coppia quest’ultima attorno alla quale ruota la nobile miseria della scena.
Nel cast, poi, Bruno Cariello, Maria Lovetti e Lucia Ragni, che
sono, rispettivamente, Telieghin, la balia e la madre dello zio Vanja, un altro triplice piccolo indispensabile tassello
di questa storia di secondo piano di Anton Cechov, portata alla ribalta con ineccepibili
e invisibili ritocchi storiografici da Marco Bellocchio, che ha voluto ancora una
volta premiare il ruolo oscuro e inappagato degli ultimi, inesorabilmente destinati
a soccombere, mai soccorsi dalla provvidenza, che li rende addirittura goffi, e
li traghetta altrove, anche nel loro disperato tentativo di proclamare il proprio
amore o in quello accidentalmente incruento di vendetta.
Gli abbonati a questa stagione del Manzoni che è iniziata ieri
sera e che si protrarrà fino al marzo del prossimo anno sono numericamente cresciuti
e oggi pomeriggio, alle 17:30, si rinnoverà, come di consueto, l’ormai classico
incontro degli attori con il pubblico, nel Saloncino del teatro. Peccato che molti
spettatori soffrano, irrimediabilmente, pare, quella fastidiosissima bronchite scenica
e che parecchi di loro non sappiano individuare la solennità decadente, accompagnando
con risate fuori luogo ed imbarazzanti alcuni momenti tragicomici della trama. Ma
tutto non si può avere e anche se, ne siamo convinti, Direttore artistico, Presidente
e il resto degli impiegati del Manzoni, se potessero, il pubblico, lo scremerebbe,
come dimenticare che i soldi non hanno odore!
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
Foto di Luigi Scardigli.
[Sabato 2 novembre 2013 | 10:50 -
© Quarrata/news]
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