sabato 3 marzo 2012

NO TAV. O FORSE AVEVA RAGIONE KEYNES


di Luigi Scardigli

Ha ragione Michele Serra, quando scrive (ieri, L’amaca Repubblica) che gli antagonisti violenti della Val di Susa somigliano, troppo, ai più beceri ultrà da curva. Dimentica, però, Michele Serra – persona gradevolissima – che tra gli antagonisti violenti si annidano, sempre con più maggior frequenza – e non solo alle pendici delle Cozie e delle Graie – gli esclusi, gli apolidi, quelli che questa politica ha messo ai margini, senza lavoro, dimenticando i loro diritti, le loro aspettative, i loro sogni: dimenticandoli.

Ma soprattutto Serra dimentica, nel suo solito piacevole piccante e pacato controcorrente il distico di questa rivolta montante, che vede sì alcune chirurgiche infiltrazioni, ma anche lo zoccolo più consistente e duro formato dalla popolazione indigena e che è quella che obietta un principio difficilmente attaccabile: questa benedettissima Tav, cui prodest?
I lavori di questa avveniristica linea ferroviaria che collegherà Torino con Lione sarà terminata quando né io, né Serra ne potremo più dissertare; i costi per la realizzazione, da faraonici che sono al momento, diverranno incalcolabili; per la realizzazione di questo grandioso monumento all’inutilità si sventreranno montagne, di disboscheranno ettari ed ettari di conifere e si metterà ad ulteriore repentaglio la salute di una consistente fascia di popolazione; tutto questo perché alle soglie del 2050, quando Nostradamus si sarà già impiccato e la Tav pronta, Torino e Lione saranno tra loro più vicine, o meno distanti, come preferite, di 13 minuti.
Sì, però, con questa mastodontica operazione industriale, tra l’altro finanziata dalla Comunità Europea, si distribuiranno per oltre una generazione lavori e manovalanza preziosissimi.
Vero, falso? Non lo so, ma anche se così fosse, in questo Paese, gli stanziamenti comunitari europei potrebbero essere investiti in altre più urgenti opere (autostrada Salerno-Reggio Calabria; le fatiscenti meraviglie archeologiche dell’hinterland napoletano e salernitano e una serie infinita di recuperi strutturali e immobiliari veramente utili alla comunità, non solo europea, ma anche e soprattutto del posto).
O forse aveva ragione Keynes – e Serra avrebbe dimenticato anche questa dotta citazione, nel suo sarcastico editoriale – che in momenti di grande depressione conviene assoldare operai per fare buche e altri per ricoprirle: non servono a nulla, vero, ma almeno sono impegnati, guadagnano e possono spendere e non è da escludere che a Bruxelles, questa iniziativa, potrebbe raccogliere ampi consensi!

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[Sabato 3 marzo 2012 – © Quarrata/news 2011]

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