mercoledì 14 marzo 2012

RENATO CURCIO. QUEGLI ANNI BUI CHE SONO STATI NASCOSTI


di Luigi Scardigli

Incontro alle Piagge da don Alessandro Santoro La vergognosa situazione italiana «Non è certo un caso che viva e sopravviva affrontando e combattendo le ingiustizie carcerarie»

Sopra il container de Le Piagge, agglomerato urbano alla periferia sud-ovest di Firenze, ogni quindici minuti circa un aereo vola, a poche decine di metri dai tetti delle case popolari, l’omonimo quartiere-ghetto, per atterrare al vicinissimo aeroporto di Peretola.
È successo anche ieri sera, quando al circolo Il Pozzo, quartier generale della disobbedienza fiorentina, con il padrone di casa, don Alessandro Santoro, c’era anche Renato Curcio, 71 anni, con i capelli corti e ormai tutti bianchi e senza barba, quella foltissima, nera e incolta con la quale venne arrestato nel 1974, a Pinerolo, segnando di fatto la fine della sua leadership all’interno della frangia insurrezionalista brigatista che passò nelle mani di un non ancora tradotto Mario Moretti.

Non è la prima volta che uno dei più importanti capi storici delle Brigate Rosse, Renato Curcio appunto, va a trovare don Santoro: tra i due, è nata, da tempo, una intensa collaborazione, partorita con la nascita della casa editrice Sensibili alle foglie, e sviluppatasi attorno alle problematiche dei reclusi.
«No, scusami, ma se vuoi parlare degli anni di piombo, non ti rispondo – mi ha detto, con calma serafica, quasi agghiacciante, Renato Curcio, che avrei volentieri incalzato su una delle stagioni più buie della storia della nostra giovanissima Repubblica –. Sono qui per affrontare altri problemi; di quelli non ho alcuna voglia di parlarne».
«Sono stato un bel po’ di anni in carcere – ha poi continuato a raccontarmi, cercando di lenire il mio dispiacere – e non è certo un caso che viva e sopravviva affrontando e combattendo le ingiustizie carcerarie, soprattutto quelle legate all’inverecondia degli ospedali psichiatrici giudiziari, che questo Governo ha assicurato scompariranno entro il 2013. La notizia parrebbe sensazionale e allineerebbe, finalmente, anche il nostro Paese alla civiltà europea, ma ho il terrore che la chiusura dei sei istituti di costrizione, distribuiti sul territorio, sia semplicemente dettata da ragioni di tipo strettamente economico: sono strutture fatiscenti e che con il tempo hanno visto lievitare, in modo abnorme e insostenibile, i costi di gestione e manutenzione. Si chiuderanno le sei postazioni della vergogna, ma temo che ne nasceranno altre più piccole e solo più apparentemente umane».
Nei sei istituti di cui parla Curcio, sono attualmente ospitati circa 1.500 pazienti: 1.350 uomini, 150 donne; tra questi, circa un migliaio sono ritenuti socialmente pericolosi ed è attorno a questa categoria dizionaristica, giudiziaria e morale che si è sviluppato il dibattito. Presieduto da don Alessandro Santoro, la questione è stata poi ampiamente affrontata da Renato Curcio, che se ne occupa, con certosina pazienza, da quando è stato scarcerato, un reinserimento nella società civile promosso, con forza, dall’allora Presidente della Repubblica Cossiga, sul finire degli anni ‘90.
Peccato, però. Perché ieri sera mi sono presentato all’appuntamento in largo anticipo e nonostante abbia avuto il piacere e l’onore di cenare con il gotha dell’entourage di don Santoro, Curcio compreso, non posso certo nascondere che mi avrebbe fatto un enorme piacere, soprattutto da un punto di vista giornalistico, sapere da uno degli artefici del terrorismo rosso cosa sia veramente successo, all’interno delle Brigate, dopo l’avvento al comando di Mario Moretti.
La storia di quelle pagine infatti trasuda violenza, sangue, morte, un trittico che ha solo e soltanto trascritto dolore e lapidi, null’altro: in quegli anni si chiudeva definitivamente la stagione della sinistra extraparlamentare e lo zoccolo rivoluzionario veniva equamente ripartito e inghiottito dalle galere, dai posti in banca e dall’eroina.
Qualcuno ora fa il direttore di riviste, altri conducono talk show e invece sarebbe arrivato forse il momento che qualcuno di loro, Renato Curcio, ad esempio – senza dover ringraziare l’esponente del Pdl, regista straordinario del film Piazza delle cinque lune (guardatevelo, è un gran bel documento) –, desse plausibili spiegazioni di quegli anni troppo scuri per non essere mossi dal ragionevole dubbio che siano stati coperti.
Spiegazioni soprattutto a quelli – e sono stati tanti – che ci hanno creduto.

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Foto di Luigi Scardigli.
[Mercoledì 14 marzo 2012 - © Quarrata/news 2012]

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