sabato 8 ottobre 2011

ALESSANDRO BIRINDELLI. «È LÌ CHE SI COSTRUISCONO GLI UOMINI»


di Luigi Scardigli



Alcuni suoi colleghi coetanei sono ancora in campo, a provare, se non a fermare, almeno a rallentare la chimica della clessidra del tempo. Lui invece, nonostante non abbia ancora 37 anni, ha da tempo appeso gli scarpini al chiodo, senza abbandonare il suo mondo, il mondo del calcio, dove ha vinto tanto, quasi tutto.
Ho aspettato che finisse l’ultima rifinitura del sabato, per scambiarci due chiacchiere: mi ha chiesto quale fosse la testata per la quale lavoro e poi, senza cerimonie, così come gli succedeva quando giocava, si è fermato a pensare.
Ci avrei parlato volentieri anche se non fosse stato il mister della Pistoiese, con Alessandro Birindelli; il suo incarico, però, mi impone quasi, da cronista, di raccontare anche il suo punto di vista.
Vi anticipo che non è stata una chiacchierata sui moduli, sul cammino degli arancioni o sulla campagna acquisti; i sofferenti di agonismo da cuoio possono anche interrompere qui la lettura, il resto dovrebbe non interessar loro. Perché abbiamo parlato del mondo dorato del calcio, delle fortune, della strada che ognuno di noi, al di là della professione, deve battere per arrivare a qualcosa.
«Ho avuto il fior fiore degli insegnanti, nella mia vita di calciatore – ha esordito l’ex allenatore della Pistoiese, footballeur pisano, per dieci anni alla Juventus, oltre il primo lustro ad Empoli, che lo ha catapultato nel calcio d’élite, e poi a Pisa, dove ha virtualmente chiuso, due anni fa –: Lippi, Capello, Spalletti, Ranieri, il meglio che ci potesse essere. Da ognuno di loro ho attinto qualcosa, non solo per quel che riguarda il calcio e le sue regole, che ho miscelato con l’insegnamento, ben più importante, precedente e costante offertomi dai miei genitori. Il resto è storia di coincidenze e fortune, di treni presi e persi, di opportunità».
È arrivato a Pistoia, all’inizio della stagione, con il compito di rifondare il settore giovanile – ex fiore all’occhiello lasciato criminosamente appassire, qualche anno fa –; poi le coincidenze, che nel calcio si chiamano vittorie, pareggi e sconfitte, lo hanno portato a prendere in mano le redini della squadra, con il chiaro compito, detto da nessuno, ma pensato da tutti, di riportare la squadra che gioca sul Marcello Melani nel calcio almeno professionistico.
«Mi hanno ben impressionato l’atteggiamento e la volontà della dirigenza di questa squadra – ha aggiunto l’ex difensore non certo rocciosissimo, che ha comunque vinto sei scudetti con la Juventus, anzi, cinque, uno derubricato –: l’idea di preparare le premesse della prima squadra, partendo dai bocciuoli del vivaio, mi ha sempre affascinato. Perché è lì che si costruiscono gli uomini, che poi, se dotati, diventano calciatori, alcuni campioni, altri addirittura fuoriclasse. È vero, non solo quelli che giustificano il prezzo del biglietto vantano stipendi da capogiro, ma sono convinto che se qualcuno chiedesse ai giocatori di rinunciare a parte dei propri ingaggi, soprattutto in un momento così delicato per la storia dell’umanità, nessuno di loro storcerebbe il naso. È che sto pensando a chi dovrebbe proporre ai calciatori la decurtazione: non certo i nostri rappresentanti politici, che fanno ridere, se non si hanno problemi, piangere e parecchio, se le cose non vanno come uno si augura».
Vive a Pisa, con la famiglia, Alessandro Birindelli, due figli di 9 e 12 anni e fa il pendolare: orari accettabili, vita invidiabile, una serenità di fondo indispensabile per dedicarsi, anima e corpo, alle questioni del rettangolo verde.
«La cosa che mi preme maggiormente per i miei figli – conclude – è che non perdano di vista, nemmeno una sola volta, il rispetto: nella vita, infatti, si possono incontrare avversari, ma non nemici, almeno dalle nostre parti».

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[Sabato 8 ottobre 2011 – © Quarrata/news 2011]

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