di Luigi Scardigli
La campagna elettorale si colora di rosso: è il sangue che scorrerà, non certo la stoffa delle bandiere, sfilacciate dalla tramontana, che non sventolano più (di là, poi, bandiere, non ce ne sono mai state).
Ma attenzione a focalizzare l’attenzione tra il vecio Renzo che è fiero di essere stato nel e del Partito Comunista Italiano e il giovin Bartoli, che si fregia, con pari dignità, di non aver mai fatto parte di quel crocchio, perché tra i due duellanti, che si rispettano a distanza, rimbalzandosi attestati di stima, entra in scena quello che non ti aspetti, ma che tutti sanno: Samuele Bertinelli.
Figlio d’arte, il giovane Samuele – giovane perché non invecchia: l’ho conosciuto venti anni fa ed era già così; o li portava male allora, i suoi anni, o adesso sta un incanto – è un vero prototipo del Pci, figlio della Figc, dei comitati studenteschi, quelli impegnati, antifascisti per censo, ma che hanno sempre combattuto e condannato i compagni più a sinistra di loro, quelli che sbagliavano, insomma, denunciandoli, emarginandoli, perché il Pci si poteva anche superare, ma solo a destra, che ha saputo dialetticamente scendere dal treno che stava per fermarsi e montare su quello che andava nella stessa direzione, ma sicuro di procedere.
Non sbagliatevi, anche lui è un amico: non è profondo come Roberto Bartoli, è vero, ma solo per un difetto di sensibilità innato, compensato e contemplato dall’indottrinamento che lo ha portato, con merito ed onore, fin sulla soglia del ballottaggio delle comunali.
Il professore invece, il professor Roberto Bartoli, in adolescenza e poi anche in gioventù si è occupato di raffinare la propria sensibilità, studiando poeti e filosofi, penalisti e soloni, donne e vino, fino a scimmiottare i rocker e i coroner woodstockiani e senza dimenticare mai di confrontarsi con l’arte del biliardino, o calcetto, che dir si voglia.
Quando ha iniziato a pensare direttamente e personalmente alla politica, lo ha fatto trasversalmente, entrando dalla finestra per poi scendere le scale e aprire la porta a quelli rimasti fuori senza chiavi: lo ha fatto senza promettere e senza rinnegare; lo sta facendo offrendo se stesso e la sua vita, ma non con un senso stoico di abnegazione/negazione/esclusione/crocifissione, bensì il contrario, esaltando la felicità della comunità, che in questo specifico momento, che durerà fino a quando non riusciremo a capire – e per questo sarà lunghissimo –, ha bisogno di fare qualche piccola registrazione, per poter continuare a sopravvivere.
Cosa si può fare? «Un interregno» come mi ha suggerito nel tardo pomeriggio un iscritto al Pd, un caro ragazzo, lo dico veramente. «Mandiamo avanti Renzo – mi ha detto prendendomi sotto braccio e accusandomi di tirare la volata a Bartoli, che tiro veramente, poi – perché è uno dei pochi rimasti di cui ci si può fidare: ma non per fotocopiare i doppi mandati precedenti (ScarpettiScarpetti, BertiBerti), ma per consentirgli, in questi cinque anni (dopo si defilerebbe, stai tranquillo) di creare i presupposti per la sinistra che verrà».
Stamani invece, un altro caro amico, che pareva essere nato per il partito, ma che poi ha salutato tutti, mi ha confidato che Renzo, «dopo aver detto di no a Prodi e D’Alema, vuoi che si metta all’anima Pistoia?». Mi ha sghignazzato sul viso, sorridendo sardonicamente, ma senza offrirmi la colazione al bar, che avrei gradito, tra l’altro.
Insomma, il buon amministratore Bertinelli potrebbe incarnare un nuovo/antico che non sarebbe sgradito alla Curia e ai tanti vecchi e ai sempre meno giovani che pullulano alle riunioni di base; il vecchio saggio Innocenti, se così fosse, avrebbe tutte le carte in regola per sentirsi autorizzato a restare a casa e dire «adesso pensateci un po’ voi, io mi son rotto le scatole: l’ho fatto per una vita, perbacco» e la città restare perfettamente imbalsamata, preda ed ostaggio di lobby, caste, circuiti, percorsi, tutti apparentemente distinti e lontani, critici e antitetici, ma che in realtà conducono invece nello stesso punto, quello di partenza.
E Bartoli?
Bartoli si sposterebbe un paio di metri più in là, per continuare imperterrito a fare il professore ordinario di diritto penale alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Firenze, ostinandosi, ne son sicuro, nel provare ad inculcare, nella mente dei suoi studenti, che nella vita occorre osare, anche quando si ha la quasi la certezza di non potercela fare.
Sarebbe sufficiente un quasi, forse, tra le opzioni delle possibilità, perché dalla cattedra di facoltà si sentisse autorizzato, anzi, in dovere, di rinnovare i propri entusiasmi per vedere di trovare le forze per le amministrative che verranno, quelle del 2017.
Ora, però, sarebbe molto meglio, e non solo per lui!
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[Venerdì 21 ottobre 2011 – © Quarrata/news 2011]
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