di Luigi Scardigli
Ci sono due date, certe, nella vita di ogni individuo: quella di nascita, che si registra all’anagrafe poco dopo il parto della mamma, e quella di morte, che nessuno scrive, prima, ma che è invece già scritta, al primo vagito, chissà da chi.
A Cattolica, quel paesone romagnolo di circa 17.000 anime in provincia di Rimini, erano in molti a ignorare dove si trovasse Sepang: da stamani, dalle ore 10,02, per l’esattezza, lo sanno tutti, invece, perché è in quel preciso momento che è rimasto, in mondovisione, senza vita, Marco Simoncelli, il giovane centauro italiano nato il 20 gennaio del 1987 proprio nella terra delle piadine.
È rimasto inerte sul circuito malese, dove Sandokan affrontava e abbatteva le tigri feroci, caduto accidentalmente dalla sua Honda Hrc e tragicamente investito da due colleghi (Colin Edwards, Yamaha e Valentino Rossi, Ducati, in lacrime inconsolabili ai box) durante il secondo giro del gran premio di Malesia, corsa inutile, tra l’altro, visto che la corona del migliore è già stata messa sul collo di Casey Stoner, l’australiano della Honda, compagno di scuderia, ironia della sorte, proprio di Simoncelli.
Non scrivo per aggiungere tristezza vera a tanta retorica con la quale in molti riempiranno le pagine dei quotidiani, domani; per non parlare dei necrologi strappalacrime che invaderanno oggi la domenica del calcio, 90 minuti di football che saranno preceduti, su tutti i campi, da un minuto di raccoglimento per ricordare il bravo centauro (tifoso rossonero), ma anche e soprattutto quel bravissimo ragazzo, innamorato della vita e dell’odore acre e perché no, funereo, della benzina e della velocità.
Non scrivo per parlare di sicurezza, come qualcuno vorrà fare: vivere ad oltre trecento chilometri orari deve necessariamente contemplare un rischio così alto, che ogni tanto, per giustificare l’alea, sacrifica la vittima di turno.
Non scrivo per tracciare un profilo agonistico del 24enne romagnolo, catapultato alla classe regina della velocità su due ruote dal 2008, quando si aggiudicò il titolo mondiale nella quarto di litro, un’escalation sportiva straordinaria, suggellata dal rinnovo del contratto (avvenuto proprio recentemente) con la Honda campione del mondo.
Scrivo per ricordare a tutti, ma soprattutto a me stesso, la caducità dell’esistenza, la sua sistematica precarietà, il suo tempo determinato, con un epilogo che conosciamo solo nel preciso momento in cui ci si distacca dalla vita per andare altrove, ma che invece è già noto nelle alte sfere chimiche, come la vita di un arbusto della foresta amazzonica che si interromperà quando un uomo verrà ad abbatterlo.
Il 20 gennaio, a Cattolica (Rimini – Italia), sul destino di Marco Simoncelli qualcuno aveva già scritto la data dell’addio: 23 ottobre 2011 (Sepang – Malesia).
Quel sorriso scanzonato e irriverente rimarrà ancora un po’ di tempo a farci compagnia e a riflettere, per poi venir preso in prestito dalla prossima tragedia motociclistica, che nessuno sa dove e quando si consumerà, eccezion fatta per chi è deputato a trascrivere i dati di inizio e fine; anche allora succederà in mondovisione, tra il dolore vero di qualcuno, lo stupore di molti e l’ipocrisia dei più. E sui campi di calcio si osserverà un minuto di raccoglimento.
Addio Sic, eri pure simpatico!
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[Domenica 23 ottobre 2011 – © Quarrata/news 2011]
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