lunedì 5 marzo 2012

AMICI MIEI. RICORDO DI LUCIANO MICHELOZZI


QUARRATA. Che disastro il tempo, quando ce lo ritroviamo addosso senza aspettarcelo!
E oggi, quasi stasera, mi accorgo, per caso, che ricorre l’anniversario (5 marzo 2004) della morte di Luciano Michelozzi – ed è come se una frana mi investisse all’improvviso.
Settembre 1973, amici miei. Qualche anno fa.
Alfredo Fabbri, il pittore, si era messo in testa di portarci tutti a mangiare a Baratti, da Demos. Poi ho continuato ad andarci per una vita e, a volte, ci vado ancora.

E si era messo in  mente di fare una di quelle sue solite scorribande senza capo né coda, da artista, con la presenza – oltre che mia, che allora ero corrispondente della Nazione da Quarrata – del mio più fido collaboratore sul campo: proprio lui, Luciano Michelozzi, quello che fu, per diciotto anni, il mio fotografo sia per il quotidiano fiorentino che per Il Messaggero.
Partimmo in quattro, quella mattina.
A quell’epoca la benzina era carissima. Credo che costasse o 150 o 200 lire al litro. Così su due piedi lo ricordo un po’ male.
Ma la forza era tanta, sia perché eravamo più giovani, sia perché con la compagnia di due “follie artistiche”, niente era d’ostacolo.
Luciano da una parte con le sue carabattole – una bellissima Rolleiflex che gli ho sempre invidiato e con cui lui faceva miracoli – e Alfredo dall’altra, con le sue sporte. Se guardate la foto in cui lo potete osservare mentre dipinge, vedrete che ne ha una in mano.
Io avrei dovuto portare il taccuino del cronista, ma non sono mai andato in giro con carta e penna. Alla fine ho sempre ricordato, più che scritto.
Con noi c’era anche Virgilio Vannucci, elettricista del Comune, supporter e tecnico, spesso, di Luciano – lo vedete a torso nudo mentre cammina sulla spiaggia: anche lui era della compagnia dell’anello e molto legato a Luciano perché radioamatore.
Una bella rievocazione delle esperienze di Luciano con la radio, l’ha fatta, di recente, Carlo Rossetti (anche con mimica vocale) nel sabato pomeriggio in cui fu ricordato, un po’ così, al Polo Tecnologico.
Ecco, la mattina passò tra dipinture e scherzi, fra battute e pennellate, fra barzellette e giochi di parole.
Alfredo dipinse diverse tele e una di queste ve la faccio vedere perché me la regalò con una dedica sul retro: «all’amico Bianchini ricordo di Baratti 1973».
Ce l’ho ancora. Ma non ho più né Alfredo né Luciano, di cui, prima o poi, vi racconterò gran parte della vita e della storia se – come d’accordo con Marino – scriverò, alla fine, il libro della vita di suo padre.
Luciano non compare in nessuna delle foto, perché lui le foto le faceva: ed era dietro alla Rolleiflex che io gli ho sempre invidiato. Ma c’era eccome.
Ci fotografò anche a pranzo da Demos, dinanzi a una piattata di polpo lesso e in tante altre piccole e inutili situazioni da settembre all’aria, da giornata en plein air.
Voglio invece tornare sulla foto in cui ci siamo io, Alfredo, Virgilio e un altro personaggio non meglio identificato – e oggi non meglio identificabile – perché quella foto segna il discrimine di una delle tante avventure del grande Luciano Michelozzi.
Era pomeriggio e il sole batteva bene sulla spiaggia. Avevamo finito da poco di pranzare a “colpi di polpo” e ci eravamo messi a camminare in riva al mare, lì, a Baratti.
Curioso com’era – e anche fin troppo insistente –, fin dalla mattina Luciano mi stava tormentando e parlava, parlava, parlava di reperti archeologici e di ‘anfore’: ovviamente con una bella erre gutturale, sua speciale caratteristica acquisita durante l’infanzia trascorsa in Francia.
Eravamo in piena zona archeologia e, scherzando, cominciammo a disfare il ciglio del campo che si affacciava sul mare. E nello scavare, Luciano trillava e strillava di anfore sempre con la erre francese. Sembrava una trottola, un ritrécine. Non si chetava un istante.
Stavamo raccogliendo pezzetti di coccio e di bucchero, che ho ancora, provenienti da discariche di età etrusca allorquando, lentamente, si avvicinò a noi il giovane sconosciuto che compare nella foto di cui vi sto parlando e…
«Cosa state facendo?»
«E a lei che importa, scusi?», Luciano, con la sua erre.
«Smettete subito e favorite i documenti».
E fu l’apoteosi della libertà, l’Allons enfants de la Patrie di un Luciano alla presa della Bastiglia, con un tricolore in mano e un berretto frigio da rivoluzionario in testa.
Luciano era fondamentalmente anarchico.
Quante volte mi avrà detto «Ma cosa vuoi capire tu, Bianchini? Ci prendono tutti per il culo! Se ne fregano tutti, perché il mondo è una banda… è una gran banda!», ovviamente sempre con la sua inconfondibile erre francese.
«Io non ce li ho i documenti – urlò –,  e lei non ha nessun diritto di chiederceli! Non facciamo niente di male! Perché i documenti?».
Alzava la voce, Luciano. Era già imbenzinato e aveva perso il controllo: perché tutto sopportava fuorché una cosa che gli paresse senza senso, come quella dei documenti.
Alfredo, intanto, interveniva con la sua aria sorniona, con il suo viso sorridente. Virgilio guardava la scena con un po’ di apprensione. A me, obiettivamente seccava un po’, ma non più di tanto: non saremmo certo andati in galera per tre pezzi di coccio nero.
Non voglio farla lunga.
Il brigadiere della Finanza – perché tale era – ci aveva scambiato, impropriamente, per dei tombaroli.
Ma l’equivoco fu presto chiarito: presto, ma sempre dopo che il grande Luciano aveva riaffermato il diritto rivoluzionario francese – con la sua erre – di essere nati “uomini liberi”.
Vedete come sorridiamo, alla fine, nella foto che Luciano ci scattò dopo che avevamo dimostrato – e non ci voleva molto – che non eravamo delinquenti comuni, ma solo quattro amici miei a caccia di polpi lessi da Demos, paesaggi da dipingere, foto da fare e articoli da scrivere?
Obiettivamente non ricordo se scrissi qualcosa per Alfredo. Forse sì.
Ma anche questa fu una giornata a suo modo straordinaria – come un’altra che passammo, io e Luciano, a Pisa, all’Università, ma che vi racconterò un’altra volta, con calma.
Fu uno di quei giorni da amici mei che mancano d’un tratto quando, per caso, ci distraiamo un istante e ci troviamo catapultati in un’altra epoca, in cui non riconosciamo quasi più niente e nessuno. Una sorta di effetto Non ci resta che piangere.
Oggi è l’anniversario della morte di Luciano e voglio ricordare così il mio anarchico fotografo casinista. Insieme anche ad Alfredo.
Li voglio ricordare – sia l’uno che l’altro – perché sono stati amici miei.
Edoardo Bianchini
P.S. – Non adoperate le immagini che trovate qui. Fanno parte solo della memoria…

Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Lunedì 5 marzo 2012 - © Quarrata/news 2011]

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