di Luigi
Scardigli
È riuscita ad essere tanto rigorosa al
punto di non perdonarsi nulla – Straziante, ma non commovente, che si eleva in alto, ma
senza resurrezione
Al suo posto, a quell’età e con un trascorso lungo più di
mezzo secolo di applausi a scena aperta, chiunque altro, uomo o donna,
preferirebbe essere ricordato per quello che faceva, preferirebbe essere
dimenticato.
Franca Valeri no, è ancora in scena, appoggiata al suo
bastone, che si porta dietro più per scaramanzia, che per necessità, come ieri
sera, al Manzoni, protagonista assoluta di Non
tutto è ancora risolto, salutato dalla platea gremita dell’anfiteatro
pistoiese tra ammirazione e stupore, gratitudine e un senso di velata invidia.
La malattia che le fa compagnia da molti anni le dovrebbe e
potrebbe suggerire cautela: la ultranovantenne milanese invece, ha preferito
affiancare a medicinali e terapie la sua inseparabile dose farmacologica,
quella dell’adrenalina da palcoscenico; un mondo che le appartiene, dove riesce
a muoversi ancora con una straordinaria lenta e oculata disinvoltura.
I movimenti infatti non sono più repentini e austeri come
una volta e la voce, soprattutto la voce, pare appartenere ad un playback con
le pile scariche, che ogni tanto gracchia e indebolisce il timbro, che era
autorevole, prepotente, isolente e per nulla disposto ai compromessi. Ogni
tanto invece s’increspa, indi si spiana
beata e specchia nel suo cuore vasto codesta povera sua vita turbata.
Che diviene straziante, ma non commovente, che si eleva in
alto, ma senza resurrezione. Franca Valeri è ancora lì, più piccola del solito,
perché la vita, prima di chiudersi per cause di forza maggiore, decide di
ridurre lo spazio visivo, come se preferisse preparare il corpo, oltre che la
mente, all’infinito.
Licia Maglietta, la sua segretaria, Urbano Barberini, un
figlio mai nato, o mai riconosciuto, o maldestramente desiderato e non saputo
accudire, e Gabriella Franchini, anche domestica, se necessario, le hanno
gravitato attorno tutto il tempo, soprattutto in quei brevi lassi di tempo nei
quali, la protagonista, la contessa caduta leggermente in miseria e nella
polvere, non era contemplata da un copione scritto da lei, un notes di appunti
esistenziali, una magnificenza appassita dal tempo, non certo dalla nobiltà,
che resta, che non invecchia e che non muore.
Anche il senso dell’humor, più inglese che mai, ora che è
necessario non perdersi nemmeno una sillaba rimbalzata dall’eco della malattia,
è quello di sempre: pungente, acido, elegantissimo, mai, rigorosamente mai
volgare, senza una caduta di stile, con quell’aplomb che pare non appartenerle,
come se le cose scritte e raccontate riguardassero altro.
Ha continuato a guardarsi allo specchio senza vedersi,
Franca Valeri e così è riuscita ad essere tanto rigorosa, fino al punto di non
perdonarsi nulla, ma proprio nulla.
Non a caso, non tutto
è risolto: a cominciare dal camino, che senza legna è più freddo di una finestra
aperta su una distesa gelata. Basta che qualcuno le porti arbusti e carta di
giornale: per accendere il fuoco, la signora Valeri, sa ancora come fare.
Da sola.
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Foto di Luigi Scardigli.
[Sabato 10 marzo 2012 - © Quarrata/news 2012]
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