di LUIGI SCARDIGLI
PISTOIA. Per conservare la memoria basta volerlo. Per questo è stato
sufficiente al gruppo Di Terra in Terra
trovarsi in piazza San Bartolomeo, al primo piano di uno dei pochi condomini
che si affacciano sulla strada e con una strumentazione ridotta all’indispensabile
dare alla luce Danzastorie, un
prezioso manifesto, sonoro, di storie altrimenti cagionevoli di ricordi.
Certo,
Quirino Trovato, Andrea Geri, Savino Pantone, Gaspare Bartelloni e Samuele
Ciattini, con una partecipazione di una miriade di amici, amiche, parenti più o
meno stretti, non hanno certo bisogno di parecchi suppellettili per costruire
musica, ma Danzastorie è
letteralmente il frutto delle aspettative di chi lo ha messo in cantiere e poi
costruito: una traccia sontuosa di storie minori, quelle che ci hanno condotto
fino a qui e che ci proteggeranno, se le deputeremo a questo ardito ruolo.
È
scritto, all’interno del prezioso cofanetto che mi è stato consegnato in
strada, proprio in piazza San Bartolomeo, senza alcuna ufficialità se non la
promessa, mantenuta con piacere, di ascoltarlo e poi, se ne hai voglia, scriverne qualcosa, come la danza ci insegna che ogni passo è contemporaneamente arrivo e partenza
per un’altra meta.
Lo ha già
scritto Hermann Hesse, in Gradini,
come ogni inizio contiene una magìa che
ci protegge e a vivere ci aiuta; questa raccolta è, sinceramente, una
sicura àncora di salvezza e un bastone, certo, per l’incedere, tremebondo e
claudicante, che ci aspetta. Con tutta l’allegria che accompagna l’inesorabilità
e la caducità del tempo, dei nostri giorni e di quelli che ci hanno preceduto,
con la stessa tragica bellezza di quelli che ci seguiranno.
Danzastorie è un
lieto evento discografico che si addice parecchio alle ore promiscue: la tarda
mattinata, abbastanza lontano dalla prima colazione e non ancora prossima al
pranzo; o verso il calar della sera, in primavera, possibilmente, quando per la
merenda è ormai tardi e non è ancora tempo per cenare.
Gli
strumenti, al di là delle chitarre e delle percussioni – che sono le voci dei ricordi e l’anello che li lega al
futuro – sono del resto linguaggi seminascosti: l’organetto
diatonico tra le mani di Andrea Geri, la viola di Savino Pantone, il flauto di
Gaspare Bartelloni, senza dimenticare il mandolino di Quirino Trovato.
L’insieme
concertistico è un piacevole e discreto conto restato provvidenzialmente aperto
con il passato che è oltremodo suggeribile non chiudere del tutto. Mai. Ma non
perché sia sempre e comunque opportuno lasciare spiragli di luce, aria e
memoria in vita, quanto perché il futuro sembra davvero riservarci la condanna,
che ha il sapore della salvezza, di dover tornare un po’ indietro, per riuscire
a guardare avanti con ragionevole speranza, se non ottimismo.
E non
solo i loro strumenti. Anche gli artisti che li maneggiano, rendendo a questi
la loro specifica e illustre funzione, sono comunque personaggi obliqui,
puntualmente in anticipo, o con qualche minuto di ritardo, se preferite; gente
lontana dai riflettori e dai coni di luce da questi emanati, non per scelta, ma
per necessità: sono loro a direzionare i faretti dello spettacolo.
Qualcuno,
questo mestiere, doveva pur farlo, no?
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Sabato 27 aprile 2013 | 19:58 - © Quarrata/news]
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