di LUIGI SCARDIGLI
PISTOIA. Buona la prima. No, la seconda. Meglio la terza. Forse.
Andiamo con la quarta, via. Chi è quella tipa assurda che entra in scena
vestita in quel modo? È pazza; no, finge di esserlo, ma lo fa benissimo. Ma non
è uno spettacolo, dai; che diavolo stanno facendo quei tre sul palco?
Non è uno
spettacolo, è vero: è lo spettacolo. Perdere
la faccia, in scena ieri sera al piccolo teatro Bolognini, più vuoto che
pieno, senza pessimismo alcuno, ho continuato a vederlo anche fuori, soprattutto
fuori, poco lontano dall’edificio dove per quaranta minuti circa Consuelo
Battiston, Alessandro Miele e Rita Felicetti hanno finto di iniziare e
riiniziare una rappresentazione che non è mai andata in scena, annunciando uno
show che non è mai iniziato, perché ci siamo dentro, tutti, fino al collo e non
ce ne rendiamo conto, o così preferiamo credere.
E per
questo ridiamo in modo sconsiderato all’inizio e poi improvvisamente smettiamo,
perché la verità è una menzogna vista dall’altra parte e il foglietto caduto al
bar ad una ragazza che non siamo riusciti a rivedere per consegnarglielo, è
quello che gli altri ci dicono e che riusciamo a capire solo quando il nostro
interlocutore si è ormai stancato e ha deciso di lasciarci.
Appena
uscito dal teatro ho incontrato una signora che osservava gioielli in una
vetrina vuota, ma illuminata; al suo fianco, seraficamente accucciato, un
cucciolo di cane, buonissimo. È un
lagotto emiliano, è un cane da tartufi – ha detto fiera la padrona che ha
finto di interagire, iniziando a scorrere sul proprio cellulare alcune immagini
–: l’ho fatto depilare,
lo faccio una volta all’anno.
Buonanotte
signora.
Ah, vabbè, le foto con il pelo ve le faccio vedere un’altra
volta!
Pensando
allo spettacolo al quale avevo assistito un attimo prima, secondo di quattro
appuntamenti di Teatri di confine, la
coda primaverile dell’Atp con la collaborazione di Fondazione Toscana
Spettacolo, realizzato dalla compagnia Menoventi,
a cui Daniele Ciprì ha affidato il suo cinico
teatro, mi sarebbe venuta voglia di tornare da quella signora ed esordire
nuovamente come avevo fatto un attimo prima: le risposte, probabilmente,
sarebbero state le solite. E così avrei forse potuto continuare tutta la notte,
come del resto avrebbero potuto imperversare per molto altro tempo ancora
Consuelo, Alessandro e Rita, falsi presentatori del loro inesistente
spettacolo, reso ancor più surreale da un festeggiamento in corso, il
compleanno di Consuelo, con tanto di torta munita di candelina, giochi
pirotecnici e trombette distribuite al pubblico, dopo l’acqua, naturale e
gassata e una totale disinterpretazione dei ruoli da parte dei protagonisti,
che escono ed entrano nei loro abiti, indossabili comunque, anzi, per forza e
dai quali non si può uscire nemmeno a recita finita, nemmeno se la telefonata
in diretta con Ciprì in realtà è registrata, nemmeno se la platea ristagna, si
sposta, si nasconde, se il pubblico se ne va, come marionette imbottite di pile
scariche che sbattono contro i bordi di una scatola di cartone per poi
caracollare a terra, facendo gli stessi movimenti.
È un
teatro di nicchia, quello proposto dallo staff del Manzoni come
fine-fine-stagione, un fuori programma fuori dal coro, dagli abbonamenti, dai
gusti, lontano dal mercato, dalle compravendite, una danza scoordinata, una
scenografia inesistente, uno schiaffo al teatro e alle sue secolari intuizioni,
che son divenute biglietti, contratti, personaggi famosi.
Come
stai, Luca? chiedevo spesso ad un mio amico di Roma quando ci incontravamo.
Male, non sono mica stupido, mi rispondeva puntualmente.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
Foto di Luigi Scardigli.
[Sabato 27 aprile 2013 | 07:44 - © Quarrata/news]
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