di LUIGI SCARDIGLI
PISTOIA. Una danza apocrifa, blasfema, provocatoria – provocante,
come dice Sara Bruni –, profondamente irriverente, che approfitta e fa leva su
una perfetta conoscenza delle arti minime fondamentali del balletto classico
per divenire qualcosa di completamente diverso, invisibile, ma soprattutto, mai
visto. Prima.
Per tutti
questi motivi e per le miriadi di altri certamente sfuggiti alla mia profana
percezione, ieri sera, al teatro Manzoni, ad assistere a La Commedia, di Emio Greco e Pieter Scholten ci sarebbe dovuto
essere il mondo. E invece, ahiloro,
la platea dell’immobile della cultura di Corso Gramsci era mezza vuota; sì,
mezza vuota, e non mezza piena, come qualche irriducibile ottimista potrebbe
obbiettarmi.
Stento a
capire come la miriade di danzatrici e danzatori che popolano questa città non
siano stati presenti ad un appuntamento semplicemente imperdibile; è vero, la
stragrande maggioranza degli aspiranti artisti del ballo frequenta i corsi di
danza perché i loro genitori, che li imbottiscono di merendine confezionate,
possono così tenere sotto controllo l’eventuale sovrappeso o perché a questi
ragazzi che trascorrono pomeriggi interi davanti al computer, un po’ di
movimento non può che far bene.
D’accordo,
ma a proposito di eccellenza, che
sembra essere in procinto di investire il nuovo polo universitario pistoiese e
con questo la popolazione tutta, è forse il caso di approfittare di certe
occasioni e mostrare e dimostrare, a qualche talento forse in erba, cosa si
possa fare ed inventare parlando di e ballando danza.
Uno
spettacolo, tra l’altro, breve, intensissimo, giusto il tempo di consentire ad
un improbabile presentatore circense spagnolo di snocciolare, con vizi e virtù
a carico, i sette giorni della settimana, rappresentati da altrettanti
danzatori provenienti da ogni angolo del mondo e che si sono ritrovati, diretti
dal brindisino Emio Greco e da Pieter Scholten, a chiudere il cerchio iniziato
a descrivere sette anni fa per un tributo, spettacolare, ma irriverente, a Dante
Alighieri e alla sua trilogia divina.
Dereck
Cayla, Vincent Colomes, Emio Greco, Neda Hadji-Mirazei, Kelly Hirina, Arnaud
Macquet, Suzan Tunca e Jesus de Vega Gomez, sono loro il lunedì, martedì,
mercoledì, giovedì, venerdì, sabato e domenica ed un loro collega, che prova a
coinvolgere, non solo emotivamente, il pubblico, presentandoli nelle loro
improbabili e sconclusionate divise, un affronto all’eleganza e all’ordine,
alla pulizia e alla sintonia, dove ognuno è artefice dei propri passi, con una
regìa, firmata a quattro mani, che ha sempre voluto che ognuno sapesse, ogni
volta, ridisegnare il proprio ruolo e dare così nuovi impulsi alla compagnia,
rodata e capace di riuscire a saper affrontare qualsiasi imprevisto, anche un
piccolo incidente, come è capitato ieri sera, al sopracciglio dell’occhio
destro di Suzan Tunca, che al termine dello spettacolo è dovuta ricorrere ad
alcuni punti di sutura per fermare la piccola ma fastidiosa emorragia.
Un saggio
meraviglioso di improvvisazione, una cascata di energia, esasperata dalle
osmosi respiratorie che si sono perfettamente e volutamente percepite quando,
improvvisamente, la musica, ritmica, pop, classica, dance, si è interrotta e
sul palco è iniziata l’alternativa melodica, quella offerta da un inesauribile mulinare
della braccia, da finti pattinatori sul ghiaccio, da comiche del cinema muto,
strizzando l’occhio al musical per eccellenza, Jesus Christ Superstar, ma anche
a John Travolta, Raffaella Carrà, Michael Jackson, una macedonia di tempo e
stili che si sono dati appuntamento nell’incontro, fortuito, ma vitale, tra un
brindisino che all’adriatico incantevole di Torre Canne ed Ostuni ha preferito
i rigori climatici olandesi e Pieter Scholten, due ballerini, registi e
scenografi che invece che ripartirsi i ruoli han preferito parlarne e darsi
vicendevoli suggerimenti, fino ad arrivare ad un meraviglioso coito artistico.
Venerdì
prossimo, al Bolognini, andrà in scena il secondo dei quattro appuntamenti
primaverili sottoscritti dall’Atp alla raccolta dal titolo Teatri di Confine: Perdere la
faccia, di Daniele Ciprì, che precederà, sempre nella piccola ma gradevole
succursale di via del Presto, Dies Irae,
del Teatro Sotterraneo, prologo al gran finale, alla Villa di Scornio, di Maros-Gelo, riadattamento cechoviano di
Renata Palminiello.
Questa coda artistica alla stagione
ufficiale si è potuta allestire solo perché la Regione Toscana ha premiato il
cartellone Manzoniano indicandolo tra i più attivi e propositivi, nominandolo
addirittura sede-pilota e raddoppiando quasi, in virtù di tanto merito, lo
stanziamento. Quando si dice la gratitudine!
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
Foto di Luigi Scardigli.
[Domenica 21 aprile 2013 | 07:42 - © Quarrata/news]
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