di EDOARDO BIANCHINI
Il problema (non piccolo) dell’informazione e del rispetto della legalità nelle sante istituzioni patrie
STAMATTINA ALL’ALBA, durante un’operazione antidroga svoltasi con un blitz nei
bassifondi di Pistoia, gli agenti della squadra mobile hanno fermato due giovani
(entrambi italiani) che sono risultati in possesso di ben 250 grammi di cocaina
destinata allo spaccio.
Portati in questura alle 08:20, dopo un
breve interrogatorio, i due sono stati rimessi in libertà perché, sugli
involucri della merce sequestrata, non c’erano le indicazioni di legge per i
consumatori, ma anziché cocaina proveniente da…, stock prodotto del…,
da consumarsi preferibilente entro il…., quella polvere bianca era
semplicemente etichettata come borotalcofelce azzurra o più
semplicemente bicarbonato si sodio. Gli agenti, pur in presenza di vera sostanza
stupefacente, poiché mancavano i corretti identificativi chimico-farmacautici,
hanno dovuto rilasciare i due fermati.
UN PO’ DI SAGGEZZA
Tutti
hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola,
lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La
stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Costituzione, art. 21.
È
diritto insopprimibile dei giornalisti [e non c’è scritto di quelli con
testata!] la libertà di informazione e di critica, limitata dall’osservanza
delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro
obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti,
osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede.
Devono
essere rettificate le notizie che risultino inesatte, e riparati gli
eventuali errori.
Giornalisti
e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle
notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse, e a
promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra
giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori.
Art. 2, Legge n. 69/1963, sulla
professione di giornalista.
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È ovvio che vi sto provocando e
prendendo in giro. Ma è anche ovvio, cari lettori intelligenti di questo blog,
che vi sto rappresentando un’assurda situazione dinanzi alla quale, se si
verificasse, nessuno di voi farebbe finta di niente: le cose sono quelle che
sono, al di là dei bolli e delle patacche amministrative che ci si possono
appiccicare sopra. Nessuno metterebbe, infatti, il bollino “AIA” o “Amadori”
sopra un pollo nero cinese, pretendendo che il consumatore lo prendesse per un
prodotto italiano.
Chi è di voi che disconoscerebbe che l’ultimo
libro di Pansa (Sangue,
sesso, soldi. Una controstoria d’Italia dal 1946 a oggi) è un’indagine-inchiesta
sulla nostra beneamata Repubblica: che è anche, però, un lavoro giornalistico,
indubbio e indiscutibile, anche se stampato da Rizzoli ma al di fuori del
cappello del Corriere della sera? “Alzasse la mano” (direbbe D’Alema)
chi lo farebbe.
E invece scendiamo a Pistoia – la piccola
e cara Pistoia a misura d’uomo e di filosofo – e prendiamo due sacre istituzioni: da una parte il Comune
di Pistoia (pardon: del Bertinelli, visto che lui ci vive dentro fino a notte
fonda) e dall’altra la Ausl 3 di Roberto Abati, laureato in sociologia a Urbino
e, si presume, con almeno qualche nozione, seppur spicciola, di diritto.
Ambedue questi torrioni-baluardo della
civiltà pistoiese si sono convinti che, per considerare tale l’informazione,
sia necessario che essa corra necessariamente sotto il marchio di una testata.
Poverelli, sia Abati che Bertinelli,
che, nei presupposti, negano l’intrinseco valore di informazione e cronaca a
Pansa perché quel Rizzoli lì, che pubblica il libro, non lo fa nelle pagine del
Corriere: e finiscono ambedue (Abati e Bertinelli) per comportarsi come
quei poliziotti, di cui sopra, che, mancando alla cocaina sequestrata l’etichetta
giusta, hanno lasciato andare liberi gli spacciatori in quanto “soggetti non
rispondenti alla fattispecie”.
Nonostante tutti gli apparati burocratici
(ve la ricordate la sovietica e terribile бюрократия, burocrazia?) di cui si circondano, lividi in volto
quali re sul trono (Alfieri), schivano e schifano (la parola e la radice sono
le stesse e con significato affine: ve lo può certificare uno scienziato della lingua
come il compianto Bruno Migliorini) schivano e schifano tutti coloro che fanno
informazione (e anche più vera del solito, come quella di Quarrata/news)
senza una testata sulla testa, pur essendo giornalisti da oltre 40 anni,
e per di più, chi scrive, professionista: cioè con l’obbligo dell’esclusività
della professione, acquisito costitutivamente il 3 ottobre 1995, cioè ben circa
20 anni fa, ma nell’albo dal 4 dicembre 1972 – tant’è che l’Ordine gli ha fatto
la festa, con targa e medaglia d’argento, se non erro, il 25 marzo scorso.
Dunque, quando io parlo e scrivo, pur
avendo lo status di professionista (e la massima è: semel sacerdos,
semper sacerdos, una volta prete non si smette mai di esserlo…), non conto
– come direbbe il marchese Onofrio Del Grillo – un cazzo. Ovvero: fossi un
medico e riscontrassi che c’è il colera, ma non avessi un contratto con l’Asl e
un ambulatorio in cui visitare, sia Bertinelli che Abati, ambedue per le loro
rispettive competenze sanitarie, potrebbero impiparsene dell’allarme da me
lanciato solo perché… non ho il bollino blu, la testata – magari nel
muro.
Ciò è stupefacente più che mai perché
tutto questo avviene in un momento in cui tutti parlano di libertà e di diritti
per tutti: Abati certifica il miglioramento delle condizioni sanitarie della
gente della nostra Montagna e Bertinelli procede a testa bassa per il
riconoscimento dei diritti degli omosessuali, ma il primo depotenzia l’Ospedale
di San Marcello e il secondo manda i rom neppur nel ghetto, ma direttamente nel
Lager del Brusigliano. È chiaro?
Vorrei semplicemente ricordare a questi
due illustri guardia di porta dei torrioni-baluardo di Pistoia, che la
loro posizione, di un fariseismo davvero esemplare, forse potrebbe (e dico
potrebbe) essere giusta per i blog che non sono testata, ma che non
hanno neppure in testa un professionista dell’informazione: ma è compatibile,
per loro (Abati e Bertinelli) essere tanto legalitari e legalisti da sentirsi
così rigidi, esclusivisti e severi dinanzi alla libertà di espressione, di
opinione, di critica e – aggiungo – di cronaca, ed essere al tempo stesso, entrambi,
così flessibili e accomodanti nei confronti di una Apr/Bardelli che non esiste
(e vadano una buona volta a leggersi quest’ordinanza del Tribunale di Roma,
perbacco! Ce l’hanno perché gliela ho spedita io stesso per accomandata!) sicché
- Abati
eroga 550 mila € mensili a un soggetto inesistente
- Bertinelli
niente fa per correggere –
come suo dovere – l’accreditamento, in Regione, di una onlus che non esiste per ordinanza tribunalizia, pur dovendo Bertinelli sapere che fu il
suo predecessore Berti a operare l’accreditamento, extra ordinem
(cioè al di fuori di ogni legalità), arrogandosi il diritto di certificare
l’Apr/Bardelli al posto della legittimata dottoressa Borgogni.
Scusatemi se sono laureato solo in
Grammatica greca e latina. Ma quando vedo cose di questo genere, tollerate e
ammesse nel silenzio di tutti nella città di tutti che però è solo di
Bertinelli e basta, io mi chiedo, sfavatissimo, che cosa abbia fatto di male,
nel corso della mia vita, per dovermi ritrovare a viverne gli ultimi anni in un
casino totale che si arroga puzzolentemente il diritto di insegnare il rispetto
della legalità a chi vede ogni giorno portarsi via in tasse quattrini propri
che poi finiscono in mano a soggetti che non esistono e non sono legittimati ad
esistere perché così ha detto un collegio tribunalizio.
Sto sbagliando? Allora dimostratemelo,
per favore, ma non a parole: con logica stringente e inoppugnabile.
Perché è qui che, come Levi nel Lager,
io, vittima di questo sistema democratico e legalitario-legalista, provo profonda
vergogna nei confronti dei nostri sepolcri imbiancati!
[Questo intervento è pubblicato come
espressione di libera critica ex art. 21 Cost.]
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[Giovedì 26 settembre 2013 | 09:35 - © Quarrata/news]
Se ho capito bene, ASL e Comune (istituzioni pubbliche, organismi che vivono grazie ai soldi dei contribuenti. Di tutti i contribuenti) nell'inviare i loro comunicati stampa, nel fare cioè lodevolissima azione di trasparenza, non considerano Quarrata News "degno" di tali invii (o lo considerano "degno" solo a intermittenza) .
RispondiEliminaSe così è, se cioè QN non riceve i comunicati stampa di queste due fondamentali istituzioni pubbliche essendone menomato nel suo diritto/dovere di informare e commentare, si è in presenza di una discriminazione. Inaccettabile e pericolosa.
Per la sostanza delle cose, vale davvero poco il fatto che QN non è testata giornalistica registrata in Tribunale. Consiglierei gli uffici legali delle due istituzioni di consigliare sindaco e direttore generale a non insistere in questa brutta discriminazione. Rischiano non solo una pessima figura sul piano della democrazia sostanziale, ma pure una condanna in Tribunale (qualora ti venisse voglia di portarceli).
Per non parlare dell'aspetto deontologico per i colleghi responsabili dei due uffici stampa.
Da tempo da parte di molti dei i nostri amministratori si è presa la pessima abitudine di non rispondere ai giornalisti che non piacciono sia perchè pongono domande imbarazzanti sia perchè non sufficentemente ossequiosi. C'' è qualcuno - addirittura- che va nelle redazioni a piagnucolare e a fare rimostranze e a chiedere di mettere la mordacchia al giornalista reprobo e cattivo. E, purtroppo, a volte c'è chi li sta a sentire,Quando invece si trovano di fronte a rifiuti questi signori riservano le notizie esclusivamente a chi li incensa e, magari, li presenta come grandi difensori della democrazia.
RispondiEliminaViene voglia - scopiazzzando il bravissimo Alberto Sordi- di mandarli tutti a quel paese.-