di LUIGI SCARDIGLI
Quattro chiacchiere con l’enfant prodige della chitarra che
a soli 20 anni ha vinto la borsa di studio dell’Università musicale americana
di Berklee
PISTOIA. La chitarra rosso fiammante, la prima, è ancora lì, nella
sua cameretta: ogni tanto la guarda, l’accarezza. Gliela regalò suo padre
Franco, il giorno del suo nono compleanno, intuendo che dietro i giochi
infantili del suo bambino si nascondesse un talento. Aveva ragione, il papà,
perché undici anni dopo, suo figlio Michele è stato selezionato al Master Umbria Jazz e fra gli oltre 200
partecipanti al corso, è risultato uno dei dieci vincitori delle altrettante
borse di studio messe in palio.
«Stento ancora a crederci – racconta Michele Beneforti, 22
anni il prossimo 1° dicembre – e non
posso certo nascondere l’emozione. Ma so già da ora, nonostante l’attestato la
dica lunga sulle mie potenzialità, che quello che mi manca da imparare e fare è
ancora molto di più di quello che ho fatto e imparato fino ad ora. Ma nulla,
della musica, mi spaventa: sono pronto a tutto; e tutto farò».
Della borsa di studio vinta nel luglio
scorso, dopo due settimane di stage a Perugia, nell’ambiente musicale toscano
se ne parla con ammirazione e un pizzico di invidia. Ma mi premeva
particolarmente cercare di capire come stesse Michele ora che i concerti nei
club e nei sottoscala – quelli che l’hanno fato conoscere ed apprezzare da
tutti e catapultato nel regno di quelli che potranno dire la loro – saranno
solo e soltanto un prologo ad un avvenire che potrebbe risultare fantastico.
«Partirò alla volta degli Stati Uniti alla vigilia della
prossima estate – spiega –: prima di tutto perché la frequenza e il soggiorno
assicuratomi con la borsa di studio a Berklee e Boston non ha scadenze, né
appuntamenti fissi. Ma soprattutto perché – oltre a dover preparare ancora
alcuni documenti, non sono ancora abbastanza ferrato con l’inglese; non posso
volare in America e correre il rischio di non capire e di non farmi capire.
Questa occasione è probabilmente una di quelle che non ripassano frequentemente
sotto la finestra di casa e sono concentrato e convintissimo che non debba
perdere di vista il minimo dettaglio per affrontarla e sfruttarla al meglio».
Se non sapessi che è così giovane, stenterei
a credere che parole tanto misurate vengano fuori dalla bocca di un ventenne.
Ma la musica, checché se ne dica, impone rigore didattico, applicazione,
serietà. Altrimenti, lontano, ci si va poco.
«Ho già fatto scelte coraggiose – dice ancora –. Con il
diploma delle scuole medie superiori mi sono iscritto all’Università, alla
facoltà di Giurisprudenza: mi sono accorto prestissimo che il mondo della
musica e quello degli studi si somigliano maledettamente e che insieme non
possono essere perseguiti con la medesima intensità. Avrei corso il rischio di
non fare bene né l’uno, né l’altro: ho scelto la strada della musica, tra i
mugugni dei miei genitori e mi auguro di riuscire ad asfaltarla».
Che Michele Beneforti fosse un
predestinato lo possono tranquillamente confermare, oltre a tutti quelli che l’hanno
visto crescere, anche i suoi primi colleghi di palcoscenico, quelli con i quali
ha iniziato a suonare dal vivo: lui aveva 13 anni; loro, il batterista, il
tastierista e il bassista, più di 40, ma per eseguire i musical ci voleva il
sound di quel marmocchio secco secco, con gli occhi tristi e delle mani
velocissime, sicure, elettriche.
«Ricordo perfettamente che in casa, quando ero un bambino, c’era
una chitarra alla quale mancavano un paio di corde e nonostante tutto, quando
in televisione passavano della musica, mi sedevo in terra e imbracciata la sei
corde ridotta, strimpellavo
imperterrito. Strano, perché sin da bambino sono sempre stato un autentico
incostante: ho iniziato a coltivare mille passatempi, dal motocross al surf;
passioni stagionali, che tramontavano al primo cambio di vento. Con la musica
il sole non è mai tramontato e sono ancora qui, ad Occidente, a capire come
fare per non vederlo scomparire».
Un talento naturale che si è dovuto per
forza di cose perfezionare, impreziosire, senza mai perdere di vista lo spirito
che dovrà guidarlo ogni giorno per tutti i giorni della sua vita: l’umiltà. Una
dote che non gli manca, anzi, una dote che lo distingue.
«Il mio primo maestro è stato Nick Becattini: mi ha insegnato
un sacco di cose, soprattutto a capire se volessi davvero suonare, una volta
diventato grande. Poi sono passato, seppur per poche lezioni, sotto le sgrinfie
di Sergio Montaleni, per poi arrivare al professore che più di ogni altro ha segnato
la mia versatilità musicale, la ricerca di suoni e situazioni: Riccardo Onori
(chitarrista di Jovanoti – n.d.r.). Con lui, credo di aver fatto il primo
grande salto ed è stato lui ad insegnarmi come prepararmi ad affrontare i
successivi».
Ascoltiamo un po’ di musica, mentre lui
racconta ed io prendo appunti. Ho scelto Weekend
in L.A. di George Benson. Mentre scrivo ondeggia la testa seguendo il ritmo
funky dei brani, poi imbraccia la mia chitarra, che riposa impaziente in un
angolo del salotto in attesa che qualche musicista venga a farmi visita e
riproduce il suono. Cambio Cd e gli propongo Alfagamabetizado, di Carlinhos Brown, chitarrista afrobrasiliano.
Non lo conosce, ma mentre lo ascolta prende tra le mani la custodia e legge chi
sono i musicisti che impreziosiscono la registrazione: prende nota.
Non si sa mai.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
Foto di Luigi Scardigli.
[Sabato 21 settembre 2013 | 17:13 - © Quarrata/news]
ciao, (ex)-ricciolo, è stato bello incrociare le nostre chitarre, questo è il momento della raccolta di quello che hai finora seminato, adesso ti aspettano sfide ancora maggiori ma decisamente più interessanti.
RispondiEliminaenjoy USA!