sabato 9 novembre 2013

SOSPETTATO DI ESSERE NAZISTA


di LUIGI SCARDIGLI

Ma il protagonista di «La torre d’avorio» compì solo una scelta artistica non abbandonando la patria

PISTOIA. La predisposizione al plebiscito la si era già avuta nel pomeriggio, alla Biblioteca San Giorgio: Luca Zingaretti piace oltre ogni ragionevole dubbio e anche ieri sera, nella prima delle tre apparizioni al Manzoni con la nuova La torre d’avorio, ha sbancato con un lunghissimo fragoroso applauso. Va bene, qualcuno, in platea, ha sbadigliato ripetutamente, e senza aver tutti i torti, ad esser sinceri: un interrogatorio, quello del direttore d’orchestra Wilhelm Furtwangler (Massimo De Francovich), senza tempo e senza tempi che il maggiore americano Steve Arnold (Luca Zingaretti), troppo sciocco per avere un onere così impegnativo, conduce con innaturale approssimazione.

Fino al punto che anche il giovane tenente David Wills (Paolo Bruglia), un boy scout che la guerra ha allontanato dai banchi universitari di Storia, alle prese per la prima volta con un faccia a faccia, sembra avere maggiore consapevolezza e riguardo nei confronti dell’artista incriminato, reo di non aver scelto l’esilio della patria in mano delle SS ed aver proseguito, imperterrito, la propria vocazione artistica, rischiando di colludere con il regime del Terzo Reich.
Al di là del fatto che la risposta non arriva (l’arte deve proseguire senza curarsi della politica o l’arte, senza politica, arte non è?) e che delle infiltrazioni tra potere e stampa ne è piena la storia (non solo quella statunitense, ahitutti), manca, a nostro parere, l’eccesso del mittente e quello del destinatario: Zingaretti è poco yankee, De Francovich per nulla teutonico e né l’uno, né l’altro incarnano la strafottenza degli Americani liberatori o la falsa caduta degli dèi dell’impero germanico. La parentesi folle, perché devastata dal dolore e dalla disperazione, della vedova Sax, appare un’isola felice, o infelice, dell’intera struttura scenica, un blocco un po’ troppo granitico che non consente allo spettatore la minima possibilità di contaminazione, tanto attiva, quanto passiva.
Così come l’opaca arrendevolezza del secondo violino – che si prostituisce all’istante senza nemmeno sapere quale possa essere la pena espiatoria per aver collaborato con Hitler – stride un po’ con il rigore e l’orgoglio nazista.
Tutti bravi, bravissimi, ma senza lasciare traccia, segnale, colore, ricordo. Una dimostrazione scolastica di alto teatro che forse non avrà sortito l’effetto desiderato nei confronti di un consistente zoccolo di giovanissimi venuti, ieri sera, forse, per la prima volta, a veder aprire il sipario.

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Foto di Luigi Scardigli.
[Sabato 9 novembre 2013 | 11:20 - © Quarrata/news]

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