Bella jam session al ‘Volume’ di Piazza Santo Spirito – Il problema, è
arrivarci
FIRENZE. I residenti di piazza Santo Spirito, a Firenze, hanno poco
da lamentarsi se dal parterre giunge nitida un po’ di confusione. Il locale dal
quale si emanano le note, del resto, si chiama Volume e con un nome così, la confusione regna sovrana.
Ma quando a suonare ci sono quei
quattro vecchietti che rispondono ai
nomi di Filippo Barontini (chitarra e voce), Davide Malito Lenti (batteria),
Carlo Romagnoli (basso) e Mimmo Mollica (armonica), la confusione ha un suo
stile, perché è stata scritta su uno spartito, viene sapientemente letta e,
come se non bastasse, anche rivoluzionata con simpaticissime improvvisazioni.
E’ andata così, ieri sera, al Volume
e così, immagino, vada tutte le volte che i gestori del locale si mettono
all’anima, oltre che distribuire alcolici, anche di assoldare strumentisti che
suonino con dovizia di particolari.
Il blues – con Mimmo Mollica è
adorabilmente inevitabile – l’ha fatta da padrona, supportato anche da alcune
amicizie all’uopo, come la voce di Luciana Camarda, lì per caso e, per caso,
fatta accomodare nel metro quadrato del palco e fatta cantare: sublime!
Ma il problema è un altro. Anzi, i
problemi, sono altri. Iniziamo dall’inizio, da viaggio con la macchina. Venerdì
sera, 13 settembre, ore 22; al casello autostradale di Firenze, porta
obbligatoria, ci sono solo due accessi frequentabili, se sprovvisti di carte di
credito, prepagate o telepass: uno solo è con esattore, che mi guarda
sconsolato e non può che condividere il mio disappunto circa l’ingiustificabile
disservizio. Arrivo finalmente a Firenze. Il Volume è dalla sponda meno frequentata dell’Arno, verso Boboli: se
decidessi di optare per la via delle Cascine rischierei di imbottigliarmi tra i
meandri dell’angusto e suggestivo centro storico. Scelgo i viali e arrivo fino
in fondo.
Girovago mezz’ora laddove i divieti al
transito me lo consentono, fino a quando riesco a trovare, chissà come, un
posto. Certo, il locale dove voglio andare è lontano, molto lontano, ma non ho
altra possibilità. Parcheggio e mi incammino. La serata è fresca, ma
passeggiando, la sollecitata circolazione del sangue riscalda dentro e fuori.
Unico inconveniente, le inderogabili esigenze urinarie. Bagni pubblici, nulla,
bar, nemmeno. Entro in un albergo, di quelli a tante stelle e chiedo alla donna
che siede compostamente alla reception, se possa usare i servizi. Non abbiamo bagni pubblici, mi risponde
sconsolata. Inizio a piangere, un po’ per la necessità che si sta facendo
impellente, un po’ per l’inconsolabile idiozia della risposta ricevuta
poc’anzi. Proseguo. Incontro un lounge
bar: non ho alcuna intenzione di consumare nulla, ma non posso più
resistere, devo fare pipì. Il
gestore, molto giovane, capisce il mio imbarazzo e mi indica la strada per
giungere al servizio: decoroso, in ordine, profumato. Mi libero dall’impellenza
cercando di non mutare l’humus del piccolo bagnetto, saluto e arrivo, dopo aver
violato Ponte Vecchio, a destinazione.
Fuori e dentro, un casino di gente, la maggior parte delle quali più alta di me.
Riesco a farmi strada tra non poche difficoltà, ma giungo finalmente a
destinazione. Gli strumentisti sono già all’opera: solo il band leader di
circostanza, Filippo Barontini, non mi conosce; gli altri sì e parecchio bene,
per fortuna. Ci scambiamo sorrisi di complicità: loro sono felici che ci sia
anch’io, ad ascoltarli; io sono felice di essere tra quelli che li ascoltano.
Faccio qualche foto, consumo una birra
(3 euro, con ricevuta) e mi godo quel che resta della serata. Prima di
mezzanotte e mezzo, Filippo Barontini concede a tutti i suoi colleghi un paio
di assoli all’interno di una battitura libera: Davide e Carlo rispettano il
copione, Mimmo vola per i fatti suoi. Lo lasciano fare, sta tornando
grandissimo, va bene così.
Il concerto finisce, abbraccio Davide, Carlo
e Mimmo – amici di vecchissima data -, inzuppati di sudore; bacio Luciana,
molto discretamente e mi congratulo con Filippo, che non avevo mai sentito
all’opera. Riprendo la strada per il ritorno. La gente, quella che ho
incontrato all’andata, è già tutta reclusa
nei locali. In macchina ascolto Everithing,
di Michael Bublé, fino all’esasperazione e penso che se le Ferrovie, almeno
nei fine settimana, approntassero corse anche dopo la mezzanotte,
probabilmente, al Volume, ci sarei
andato in treno.
Pensieri notturni: servono solo ai
poeti!
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[Mercoledì 18 settembre 2013 | 19:04 - © Quarrata/news]
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