giovedì 6 gennaio 2011

AIAS, IO NON LA PENSO COSÌ


Il dottor Gianluca Fantacci, in merito al post Confusione, scrive:

Visto che è argomento quasi quotidiano sul tuo blog, mi sembra opportuno spendere qualche riflessione sul caso Aias Pistoia.
Non intendo fare considerazioni sulla risposta dell’amministrazione e dei politici pistoiesi, né tanto meno entrare nel merito delle questioni legali che hanno portato al commissariamento, anche se, detto tra noi, da quel che si evince dai giornali, non vedo molte questioni di sostanza.
Più che altro intendo riferirmi alle domande che tu poni in questo post: che cosa è cambiato in quest’ultimo anno? quali servizi sono stati soppressi? sarebbe interessante sentire le due campane.
Ecco, la mia è una di quelle due campane, dal punto di vista di chi la realtà dell’Aias l’ha vissuta dall’interno.
I servizi, come tu dici non si sono interrotti. Fisioterapisti, medici e quant’altro sono sempre lì al loro posto a svolgere indefessamente il loro lavoro. Ma all’interno dell’Aias c’è anche tutta un’altra realtà, che è quella dei volontari, persone giovani e meno giovani, che contribuiscono durante la settimana a dare qualcosa in più agli assistiti, a dar loro una nuova famiglia, a volte l’unica.
La fisioterapia, la terapia occupazionale e le altre attività vanno avanti sempre, quello non cambia. Ciò che potrebbe cambiare, ma che ancora non è cambiato, grazie comunque all’impegno e alla dedizione che questi volontari mettono nella loro opera, è proprio questo aspetto di socializzazione che va oltre le ore di attività svolte nella struttura.
Questo comprende tutto, dalle serate ludiche organizzate appositamente per gli assistiti, ai soggiorni vacanza al mare, ai pellegrinaggi, resi possibili per gran parte grazie all’attività di questi volontari che si fanno carico di un lavoro immenso, che io ho potuto verificare con i miei occhi.
Credimi, Edoardo, non si può capire davvero cosa sia l’Aias di Pistoia se non ci abbiamo passato dentro almeno una giornata.
Ha ragione Annamaria Celesti quando descrive l’Aias come luogo capace di condividere il senso della vita con chi il bisogno ce l’ha. E tutto questo è stato permesso dal modello organizzativo voluto da Bardelli, da don Gargini e don Pancaldo. Sono loro che con la loro caparbietà nei primi anni ’80 hanno ottenuto un pezzo di spiaggia al mare di Ronchi nonostante fossero ospiti non graditi, poiché, diciamo così, le “diverse abilità” non interessavano a nessuno.
Dopodiché si può obiettare qualsiasi cosa, ma tutto ciò non sarà più possibile, neanche col migliore dei commissari.

Gianluca Fantacci

Caro Gianluca,
sei un giovane medico, anche molto bravo; e sai anche quanto ti stimi. Ma per le due campane io intendevo riferirmi a Bardelli – che una volta mi ha scritto e poi si è chetato per sempre – e a Bagnale, che, come commissario, pur informato che questo blog esiste, non ritiene opportuno, forse, abbassarsi a parlare con noi che, essendo poco più che qualche noce in un sacco, non facciamo rumore – almeno non quanto i due giornali di cronaca e… Tvl.
Stiamo però parlando su due lunghezze d’onda diverse. E non in rotta di collisione: ma parallele e compatibili.
So perfettamente, se non cos’è l’Aias per un giorno, cos’è un diversamente abile per un anno. L’ho avuto in classe. E guarda, Gianluca, che il buon Diego, a quell’epoca baldo giovane della terza liceo A al Forteguerri, durante i compiti di greco e di latino, veniva nella mia classe a sfogliare il dizionario al nostro amico, che credo abbia vissuto, in quella classe da cui è uscito anche un professore universitario, una bella esperienza, pur con tutte le difficoltà che ci possono essere in condizioni obiettivamente estreme.
Non mi dici niente di nuovo. Conosco tutti i personaggi e so – forse molto meglio della Celesti – cosa significhi luogo capace di condividere il senso della vita con chi il bisogno ce l’ha.
Quello che invece non mi è chiaro è l’alzata di scudi irrefrenabile, massiccia, ripetuta, costante, allertata, sonora, irriducibile, chiassosa, caparbia che è iniziata con una porta sbattuta in faccia a un commissario e che finirà a Roma, ma che, nel momento in cui ci finiva, ha scomodato Ponzio Pilato contro il tribunale di Pistoia (Bardelli ha un’idea della giustizia giusta solo se gli dà ragione, evidentemente…) o i lupi dell’ira di Pancaldo per indicare un accanimento eccessivo di chissà chi contro l’Aias.
Ci sono una asincronìa e un contrasto stridente fra quello che è stato predicato per quasi quaranta anni – un cristianesimo senza tregua, quasi fino a giungere ai limiti dell’integralismo – e il comportamento dei vertici dell’Aias e della Fondazione Santa Maria Assunta in cielo posti dinanzi alle difficoltà che il mondo non presenta solo all’Aias, ma anche a molti di noi, diseredati quanto mai sotto più punti di vista, ma mai presi in considerazione perché non integrati o non protetti da niente e da nessuno fuorché dalla loro coscienza.
Devi credermi, Gianluca: proprio ora, mentre mi sto occupando, per motivi di studio, delle prime martirizzazioni cristiane, vedere tanta resistenza al mondo, come quella organizzata da Bardelli, a fronte di tanta umile e serena accettazione degli eventi, da parte dei màrtiri, nell’attesa e nella consapevolezza che Dio non turba mai la pace dei suoi figli se non per darne loro una più certa e più grande, non mi aiuta a credere che la via scelta da questi milites dell’Aias sia la migliore in assoluto, ma soprattutto la più consona a chi la vita la dovrebbe vivere con cristiana umiltà e piena accettazione del bene e del male. L’exemplum non funziona, caro Gianluca. Dottrina e vita non collimano. Gli stoici (Seneca), da cui i cristiani così tanto hanno mutuato, erano chiarissimi: Verba rebus proba, dimostra le parole con i fatti.
E qui concludo: se tutto è come prima; se i volontari possono ancora fare quello che facevano; se il giorno in cui Bardelli avesse ragione il tribunale di Roma non potrà fare a meno di indennizzare lui e i suoi per i danni ingiustamente subìti e patiti: a quale fine, di grazia,  tutto questo boscabbaccano e questa guerresca confusione?
Ecco che cosa mi chiedo, mentre niente tolgo – tutt’altro – ai mille volontari la cui opera e i cui meriti sarebbe bestemmia negare…

Edoardo Bianchini

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