di Luigi
Scardigli
Le vicende personali incidono, ovviamente, sui caratteri,
anche su quelli dei registi. Anzi, loro le trasformano in pellicole e questo Tutti i santi giorni, l’ultima di Paolo
Virzì, ha tutta l’aria di voler santificare ad ogni costo il matrimonio,
perdendo grinta, prima ancora che credibilità.
Thony, infatti, Antonia,
la gran bella voce siciliana che suonava agli esordi un similpunk con uno scarto di fabbrica con il quale
amoreggiava pure e che per sbarcare il lunario è impiegata presso un
autonoleggio, comprende poco e male il forbito linguaggio del dotto convivente,
il livornese Luca Marinelli, Guido,
che in nome di questo amore rinuncia ad una serie di opportunità professionali
e si accontenta di fare il portiere di notte in un grand hotel.
Sullo sfondo, con alcuni memorabili campi lunghi e battute
di buona caratura, c’è una Roma che si riconosce a stento, se non nella
trivialità di alcune comparse: violente, volgari, tatuate e sedate dal calcio.
Ma è il buonismo
generale che ammanta il protagonista che finisce per indispettire: in nome di
un figlio che non riescono ad avere, Guido è disposto a concedere e a perdonare
tutto alla propria compagna, soprassedendo su un tradimento dichiarato e su una
fuga verso il precedente amore fallimentare, bibliche sopportazioni che saranno
premiate da quel matrimonio, in chiesa e in Sicilia, al quale nemmeno aspirava.
Resta, piacevolmente incancellabile, la fortunatissima
scelta dei due attori, due neofiti catapultati sul grande schermo da quella
bella palestra che si chiama Motorino
amaranto.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Domenica 28 ottobre 2012 - © Quarrata/news 2012]
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