giovedì 25 ottobre 2012

‘PIETÀ’, UN TRAGICO MONITO DEL NOSTRO TEMPO


di Luigi Scardigli

PISTOIA. Violenza e perdono, amore e perversione, tracotanza. Kim Ki-Duk ha miscelato queste doti e ne ha tirato fuori forse l’inevitabile epilogo sociale, più che il titolo del suo ultimo capolavoro, Pietà, vincitore, plebiscitario, all’ultima rassegna cinematografica di Venezia e in programmazione in città grazie alla proiezione del cinema Globo.

Il filone di quest’ultima mannaia cinematografica del visionario regista sudcoreano non si discosta molto dalle ansie delle sue precedenti pellicole; aumenta, comunque con piacevole parsimonia, la loquacità complessiva della pellicola, pur senza farle soffrire la pittura delle immagini e la sua devastante potenza surrealista.
È la storia di uno spietato esattore delle imposte criminali del Sudest, che solo dopo la ricongiunzione con la madre, che lo aveva abbandonato in fasce, inizia la propria conversione, un tragico, cruento ed estremo ripensamento che non farà che aggiungere e addurre dolore a dolore, morte a morte.
La crudezza di alcune scene e il complessivo decadente incedere della trama, che oscilla, con orientale originalità, tra gli angoscianti primi piani di Sergio Leone e la macchinosità delle procedure ritmiche di Quentin Tarantino, pietrifica letteralmente l’attenzione dello spettatore e soprattutto gli impone, contemporaneamente, un crudo esame di coscienza, che si materializza in un inno ai valori più antichi della famiglia e premia, con una medaglia, fuori conio, l’amore verticale, anche fra complessi edipici ed elettrici, quello che va di genitori in figli.
Un film che ha tutta l’aria, da capolavoro qual è, di essere un tragico monito precursore della drammaticità dell’elastico economico che il mondo intero sta attraversando, con uno sguardo, chimico e tetro, rivolto al nascente industrialismo orientale.

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[Giovedì 25 ottobre 2012 - © Quarrata/news 2012]

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