martedì 5 novembre 2013

TORRE D’AVORIO


di LUIGI SCARDIGLI

Secondo appuntamento al Manzoni In scena Zingaretti e De Francovich

PISTOIA. Chi è morbosamente interessato a vedere che effetto facciano da vicino Luca Zingaretti e Massimo De Francovich, è gratuitamente atteso venerdì pomeriggio, alle ore 17, presso la biblioteca cittadina San Giorgio dove i due mattatori di La torre d’avorio, in scena al Manzoni venerdì e sabato sera e domenica pomeriggio, distribuiranno sorrisi, consigli e qualche autografo, parlando del più e del meno, ma anche del per e del diviso, se la conversazione dovesse suggerirlo.

Agli altri, a tutti gli altri, tra i 1.200 abbonati e gli spettatori della bisogna, che preferiranno invece misurar loro la pressione ammirandoli sotto gli sforzi del copione, non resta che aspettare di vederli all’opera e trarne le conclusioni. L’opera - originariamente intitolata Taking sides (schierarsi) e trasformata cinematograficamente in A ragione o a torto – di Ronald Harwood e tradotta da Masolino D’Amico ritrae la Germania sconfitta all’indomani del secondo conflitto mondiale e con gli oppressi liberati dalle truppe statunitensi alla caccia degli oppressori-sconfitti del terzo Reich.
L’attenzione della rappresentazione però si focalizza attorno ad un unico noto personaggio, il direttore d’orchestra Wihelm Furtwangler (Massimo De Francovich) e il maggiore americano Steve Arnold (Luca Zingaretti), che è colui che dovrà dimostrare in qualche modo l’esistenza di una commistione e di un fiancheggiamento tra l’artista e il caduto regime nazista, nonostante durante il periodo dittatoriale delle SS, il musicista non abbia mai nascosto la proprio avversione alle truppe di guerra.
Ma gli oppressi liberati dalle truppe alleate non ne vogliono sapere e condannano, prima ancora che lo sentenzi un tribunale, la complicità tra il regime nazista e il loro artista di massimo spicco, reo, quest’ultimo, di aver continuato a produrre arte in un paese dilaniato dalla follia anziché, come molti dei suoi colleghi intellettuali, andarsene altrove a denunciarne i misfatti. Il quesito, però, non è risolto e nonostante non possa in alcun modo discutersi l’equazione che con un regime xenofobo e sterminatore non si debba in alcun modo collaborare, resta aperto il dilemma se l’arte, in quanto tale, debba interrompersi o emigrare o se proprio la sua indigena continuità rappresenti un filo di speranza e possa innescare la miccia della rivolta.

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[Martedì 5 novembre 2013 | 17:48 - © Quarrata/news]

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