di LUIGI SCARDIGLI
Secondo appuntamento al Manzoni – In scena Zingaretti e De Francovich
PISTOIA. Chi è morbosamente interessato a vedere che effetto
facciano da vicino Luca Zingaretti e Massimo De Francovich, è gratuitamente
atteso venerdì pomeriggio, alle ore 17, presso la biblioteca cittadina San
Giorgio dove i due mattatori di La torre
d’avorio, in scena al Manzoni venerdì e sabato sera e domenica pomeriggio,
distribuiranno sorrisi, consigli e qualche autografo, parlando del più e del
meno, ma anche del per e del diviso, se la conversazione dovesse suggerirlo.
Agli altri, a tutti gli altri, tra i
1.200 abbonati e gli spettatori della bisogna, che preferiranno invece misurar
loro la pressione ammirandoli sotto gli sforzi del copione, non resta che
aspettare di vederli all’opera e trarne le conclusioni. L’opera -
originariamente intitolata Taking sides
(schierarsi) e trasformata cinematograficamente in A ragione o a torto – di Ronald Harwood e tradotta da Masolino D’Amico
ritrae la Germania sconfitta all’indomani del secondo conflitto mondiale e con
gli oppressi liberati dalle truppe statunitensi alla caccia degli
oppressori-sconfitti del terzo Reich.
L’attenzione della rappresentazione
però si focalizza attorno ad un unico noto personaggio, il direttore d’orchestra
Wihelm Furtwangler (Massimo De
Francovich) e il maggiore americano Steve
Arnold (Luca Zingaretti), che è colui che dovrà dimostrare in qualche modo
l’esistenza di una commistione e di un fiancheggiamento tra l’artista e il
caduto regime nazista, nonostante durante il periodo dittatoriale delle SS, il
musicista non abbia mai nascosto la proprio avversione alle truppe di guerra.
Ma gli oppressi liberati dalle truppe
alleate non ne vogliono sapere e condannano, prima ancora che lo sentenzi un
tribunale, la complicità tra il regime nazista e il loro artista di massimo
spicco, reo, quest’ultimo, di aver continuato a produrre arte in un paese
dilaniato dalla follia anziché, come molti dei suoi colleghi intellettuali,
andarsene altrove a denunciarne i misfatti. Il quesito, però, non è risolto e
nonostante non possa in alcun modo discutersi l’equazione che con un regime
xenofobo e sterminatore non si debba in alcun modo collaborare, resta aperto il
dilemma se l’arte, in quanto tale, debba interrompersi o emigrare o se proprio
la sua indigena continuità rappresenti un filo di speranza e possa innescare la
miccia della rivolta.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Martedì 5 novembre 2013 | 17:48 - © Quarrata/news]
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