giovedì 24 gennaio 2013

‘ANATOMIA DI UNA RIVOLUZIONE’, UNA SERATA NON CASUALE

di LUIGI SCARDIGLI

E Giuseppe De Marzo prospetta un ‘mondo della fine’ in rapida avanzata

PISTOIA. Tanto peggio, molto meglio. Lo slogan, pseudo qualunquista, che ha spopolato per molto tempo e che sta tornando imperiosamente di moda, non diceva esattamente così: tanto peggio, tanto meglio, era in realtà. Ma Giuseppe De Marzo, un attivista, ma anche economista, giornalista e scrittore, ha voluto rimodularlo, quel vecchio adagio, assegnandogli un valore estremo, perché non c’è più tempo.

Questa premessa catartica, apocalittica è molto meno devastante di quanto in realtà si presenti la Terra subito dopo aver varcato la soglia del terzo millennio, con alcuni tra gli ospiti che la popolano – i meno desiderati, tra l’altro –, noi, che non abbiamo afferrato in pieno l’approssimarsi della fine. È quello che ha cercato di spiegare – facendosi capire perfettamente –, Giuseppe De Marzo, che oggi pomeriggio, 24 gennaio, a partire dalle 18, ha tracciato le linee guida di quello che potrà essere, solo e soltanto, l’indizio della sopravvivenza, approfittando dell’occasione della presentazione del suo ultimo libro, Anatomia di una rivoluzione, con un’accezione, profondamente originaria, del termine greco anatomia, che è forma e struttura.
«È fondamentale, indispensabile – ha articolato con dovizia di dati e nomi Giuseppe De Marzo, un barese da tempo adottato dalla Capitale – cambiare il paradigma delle soluzioni, che non possono che passare tra l’equazione che lega, indissolubilmente, giustizia e sostenibilità. Sotto questo cappello coabitano quattro punti inscindibili: la trasparenza, la totale inversione del neo-liberismo, l’allargamento della democrazia e la sfera comportamentale e passionale».
Ma che relazione c’è tra la crisi, una delle più gravi della storia contemporanea e questi dettagli che questo economista alternativo propone come panacea?
«L’umanità non riesce più – scende nei dettagli del suo trattato, l’autore, che al posto delle teorie fa militanza attiva, quella che l’ha portato in Sud America, in carcere, in Ecuador – a porre un freno alla crisi ecologica, che è il baratro verso il quale stiamo inesorabilmente rovinando. È per questo che sostengo tanto peggio, molto meglio, perché è proprio questa crisi irreversibile che ci sta offrendo l’unico spunto frequentabile per non venir deglutiti: non siamo gli unici detentori dei diritti umani; lo è, alla pari, la natura, una nuova giurisdizione attorno alla quale sono nati quei movimenti ambientalisti che sono gli unici fautori del nuovo trend, quello che si muove sui piani della giustizia e del lavoro, l’unica e ultima opportunità per invertire la rotta e sperare di potercela ancora fare. Bisogna ripartire le ricchezze e distribuire diversamente le sacche di sfruttamento: chi ha deciso che fossero la Val di Susa e la piana di Taranto, ad esempio, a pagare lo scotto di una devastazione ambientale che non ha prodotto lavoro? Chi risarcirà una delle popolazioni latino americane più povere in virtù che i tre raccolti all’anno di patate si siano ridotti ad uno soltanto per l’inquinamento idrogeologico al quale non hanno in alcun modo contribuito?».
Una serata non casuale, quella allestita sulla presentazione del volume di Giuseppe Di Marzo, perché si è trattato di un evento voluto dal gruppo del neonato movimento Alba (Associazione Lavoro Benicomuni Ambiente) e che ha deciso di affidare alla volontà, realmente alternativa, dell’autore, lo spacca ghiaccio di queste banchine in via di innaturale scioglimento.
«Sono venti anni – ha tenuto a sottolineare De Marzo – che sottostiamo ad un’equazione devastante, quella che ha spacciato come risolutorio il connubio dell’aumento della crescita come abbattimento della povertà. È successo esattamente il contrario. E lo sapevano perfettamente. Loro».

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Foto di Luigi Scardigli.
[Giovedì 24 gennaio 2013 | 22:59 - © Quarrata/news]

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