di LUIGI SCARDIGLI
E Giuseppe De Marzo prospetta un ‘mondo
della fine’ in rapida avanzata
PISTOIA. Tanto peggio, molto meglio. Lo slogan, pseudo qualunquista,
che ha spopolato per molto tempo e che sta tornando imperiosamente di moda, non
diceva esattamente così: tanto peggio, tanto meglio, era in realtà. Ma Giuseppe
De Marzo, un attivista, ma anche economista, giornalista e scrittore, ha voluto
rimodularlo, quel vecchio adagio, assegnandogli un valore estremo, perché non c’è
più tempo.
Questa premessa catartica, apocalittica
è molto meno devastante di quanto in realtà si presenti la Terra subito dopo
aver varcato la soglia del terzo millennio, con alcuni tra gli ospiti che la
popolano – i meno desiderati, tra l’altro –, noi, che non abbiamo afferrato in
pieno l’approssimarsi della fine. È quello che ha cercato di spiegare – facendosi
capire perfettamente –, Giuseppe De Marzo, che oggi pomeriggio, 24 gennaio, a
partire dalle 18, ha tracciato le linee guida di quello che potrà essere, solo
e soltanto, l’indizio della sopravvivenza, approfittando dell’occasione della
presentazione del suo ultimo libro, Anatomia
di una rivoluzione, con un’accezione, profondamente originaria, del termine
greco anatomia, che è forma e struttura.
«È fondamentale, indispensabile – ha articolato con dovizia
di dati e nomi Giuseppe De Marzo, un barese da tempo adottato dalla Capitale –
cambiare il paradigma delle soluzioni, che non possono che passare tra l’equazione
che lega, indissolubilmente, giustizia e sostenibilità. Sotto questo cappello
coabitano quattro punti inscindibili: la trasparenza, la totale inversione del
neo-liberismo, l’allargamento della democrazia e la sfera comportamentale e
passionale».
Ma che relazione c’è tra la crisi, una
delle più gravi della storia contemporanea e questi dettagli che questo
economista alternativo propone come panacea?
«L’umanità non riesce più – scende nei dettagli del suo
trattato, l’autore, che al posto delle teorie fa militanza attiva, quella che l’ha
portato in Sud America, in carcere, in Ecuador – a porre un freno alla crisi
ecologica, che è il baratro verso il quale stiamo inesorabilmente rovinando. È
per questo che sostengo tanto peggio,
molto meglio, perché è proprio questa crisi irreversibile che ci sta
offrendo l’unico spunto frequentabile per non venir deglutiti: non siamo gli
unici detentori dei diritti umani; lo è, alla pari, la natura, una nuova
giurisdizione attorno alla quale sono nati quei movimenti ambientalisti che
sono gli unici fautori del nuovo trend, quello che si muove sui piani della
giustizia e del lavoro, l’unica e ultima opportunità per invertire la rotta e
sperare di potercela ancora fare. Bisogna ripartire le ricchezze e distribuire
diversamente le sacche di sfruttamento: chi ha deciso che fossero la Val di
Susa e la piana di Taranto, ad esempio, a pagare lo scotto di una devastazione
ambientale che non ha prodotto lavoro? Chi risarcirà una delle popolazioni
latino americane più povere in virtù che i tre raccolti all’anno di patate si
siano ridotti ad uno soltanto per l’inquinamento idrogeologico al quale non
hanno in alcun modo contribuito?».
Una serata non casuale, quella
allestita sulla presentazione del volume di Giuseppe Di Marzo, perché si è
trattato di un evento voluto dal gruppo del neonato movimento Alba (Associazione Lavoro Benicomuni Ambiente) e che ha deciso di affidare alla volontà,
realmente alternativa, dell’autore, lo spacca ghiaccio di queste banchine in
via di innaturale scioglimento.
«Sono venti anni – ha tenuto a sottolineare De Marzo – che
sottostiamo ad un’equazione devastante, quella che ha spacciato come
risolutorio il connubio dell’aumento della crescita come abbattimento della
povertà. È successo esattamente il contrario. E lo sapevano perfettamente. Loro».
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Foto di Luigi Scardigli.
[Giovedì 24 gennaio 2013 | 22:59 - © Quarrata/news]
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