di LUIGI SCARDIGLI
PISTOIA. Non sarò stato il solo a rimanere piacevolmente
meravigliato da cotanto camaleontismo. Perché Ugo Pagliai è, chimicamente,
elegante e riuscire ad indossare i panni, sdruciti e scomposti, di Samuel
Beckett, non era poi così semplice.
Per non parlare di quelli della moglie, Paola Gassman –
nella vita e su questo set –, defunta (solo in
scena), indossati in un armadio e in un frigorifero, duettando con l’amante del
marito (Paola Di Meglio, romana di Trastevere), anch’essa già morta ma ancora
presente, come un retaggio costante del passato, che è la pianta, graziosa, di
un abat-jour .
Vitaliano Trevisan, che ha scritto la commedia, affidandone
le sorti alla regìa di Giuseppe Marini, che si è sua volta fidato delle scene,
asimmetriche e importanti, costruite da Antonio Panzuto, che ha delegato a
Gianluca Falaschi l’onere dei costumi, a Marco Podda quello delle musiche e a
Pasquale Mari le luci, ha vinto una scommessona, perché vedere i coniugi
Pagliai alle prese con due personalizzazioni alticce, surreali, senza perdere
la regalità di decenni di recitazione, non era cosa semplicissima.
Esperimento teatrale esemplare, che mi ha convinto strada
facendo. Certo, Ugo Pagliai ha il torto
di essere elegante anche con uno straccio addosso e sulla via del declino e sua
moglie, Paola Gassman, di essere austera anche quando racconta fiabe ai
nipotini, ma questa parentesi, Wordstar(s),
che si ripeterà stasera e domenica pomeriggio al Manzoni come secondo
appuntamento del 2013, è veramente una piacevolissima nota lontano, parecchio
lontano, dal canovaccio al quale Pagliai aveva addomesticato migliaia e
migliaia di appassionati del suo teatro.
Nel primo tempo infatti, quello riservato alle presentazioni
e ai vari ruoli semantici, Pagliai è rimasto adorabilmente affezionato al
proprio ruolo, sontuoso e catartico, non riuscendo a liberarsi del tutto da
quella nobilità che lo perseguita,
sembrando più un impudente millantatore alla caccia di una pensione di
invalidità che un uomo distrutto da se stesso.
Durante l’intervallo, il
coach deve aver strigliato a dovere i protagonisti, perché al ritorno sul
palcoscenico, intento a richiamare e imboccare i piccioni, Samuel Pagliai
Beckett è finalmente diventando quell’uomo borderline incapace di gestire la
propria vita e le proprie pulsioni.
Al termine, con l’immancabile corollario di colpi di tosse
in sala – e dire che una ditta ristoratrice, per reclamizzarsi, prima della
rappresentazione, ha gentilmente distribuito dépliant e caramellino – il boato
di applausi, con qualche irresistibile bravo
urlato all’indirizzo di un pistoiese, Ugo Pagliai, che è riuscito a farsi
strada nel mondo, impervio, della cultura, senza passare mai dalle
entrate secondarie.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
Foto di Luigi Scardigli.
[Sabato 26 gennaio 2013 | 16:24 - © Quarrata/news]
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