PISTOIA. Così. Tanto per alleggerire il carico delle cose che non
vanno né punto né poco in questa definita – e definibile – ‘città del silenzio’.
Divertiamoci un po’ con una parodia d’autore
– che a sua volta è pur sempre un capolavoro.
Con tutti i guai d’Italia, a Siena
spetta una bella pioggia aulica sulle cime del Monte.
A Pistoia, mutatis mutandis, una
povera pioggia sul cappello.
Che non basta a parare quel sommerso di
reticenze che domina in questa piccola terra marginale di provincia…
Q/n
LA PIOGGIA NEL PINETO
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LA PIOGGIA SUL CAPPELLO
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Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove sui mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
sui ginestri folti
di coccole aulenti,
piove sui nostri volti
silvani,
piove sulle nostre mani
ignude,
sui nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
l’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come un foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancora trema, si spegne,
risorge, treme, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontane,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i malleoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove sulle nostre mani
ignude,
sui nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.
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Silenzio. Il cielo
è diventato una nube,
vedo oscurarsi le tube
non vedo l’ombrello,
ma odo sul mio cappello
di paglia,
da venti dracme e cinquanta
la gocciola che si schianta,
come una bolla,
tra il nastro e la colla.
Per Giove, piove
sicuramente,
piove sulle matrone
vestite di niente,
piove sui bambini
recalcitranti,
piove sui mezzi guanti
turchini,
piove sulle giunoni,
sulle veneri a passeggio,
piove sovra i catoni,
e, quello ch’è peggio,
piove sul tuo cappello
leggiadro,
che ieri ho pagato,
che oggi si guasta;
piove, governo ladro!….
L’odi tu? Non è di passaggio
come l’acqua
di maggio,
che sciacqua la terra e la monda.
Sgronda terribilmente;
si sente il blasfemo
di un polifèmo ambulante,
si veggono ninfe e atalante
fuggire in un angiporto;
Plutone più vivo che morto
si pone una nivea pezzuola
sul feltro che cola;
Dïana s’accorcia la tunica
fin quasi all’altezza del femore,
e Dedalo immemore e Marte
con toga a due petti e speroni
s’impalano ai muri con arte
per evitare i doccioni.
Cibele fa segno all’auriga
che incurva il soffietto alla biga,
e monta sul cocchio
mentre la furia di Eolo
le palpa il malleolo
le morde il polpaccio,
si sfibia
d’intorno allo stinco e alla tibia.
Bagnati dal coccige al collo,
dal naso al tallone d’Achille,
fradici fino al midollo,
cugini alle anguille,
nubili d’ombrello,
col solo cappello,
sentiamo che l’essere anfibî
sarebbe un superbo destino,
te biscia,
io girino,
e liscia la piova del giorno
ci colerebbe d’attorno,
non come a Issïone
che fece la ruota a Giunone,
ma pari al Tritone
cui Teti concesse
- regalo di nume -
di potersi fare
un ampio palamidone
di schiume di mare.
E piove sempre,
sul càmice mio,
sul peplo tuo
colore oramai dell’oblio,
piove sul croceo e l’eburno
del tuo moccichino di seta,
piove sul cromo del mio coturno
che s’impatacca di creta,
piove sopra il cinabro
che t’impomidaura il labro,
piove sui tremuli tocchi
che t’anneriscono gli occhi,
e andiamo d’androne
in androne,
con facce di mascherone,
squadrandoci obliquamente
se qualche pozza lucente
ci specchia e ci invecchia
per farci morir di furore,
Narcisi
dai visi colore
di colla di paglia,
di succo di nastro,
d’impiastro di minio,
di guazzo assassino
di cipria e di cartoncino.
E piove a dirotto
da tutte le nubi,
piove dai tubi
sfasciati
dell’acquedotto
del cielo,
piove sui cani spelati,
piove sul melo e sul tiglio,
piove sul padre e sul figlio,
piove sui putti lattanti
sui sandali rutilanti,
su Pègaso bolso,
su l’orïolo da polso,
piove sul tuo vestitino
che m’è costato un tesauro,
piove sulla salvia e sul lauro
sull’erbetta e sul rosmarino,
piove sulle vergini schive,
piove su Pàsife e Bacco,
piove persin sulle pive
nel sacco.
E piove soprattutto
sul tuo cappello distrutto
mutato in setaccio,
che ieri ho pagato
che adesso è uno straccio,
o Ermïone
che scordi a casa l’ombrello
nei giorni di mezza stagione.
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[Giovedì 31 gennaio 2013 | 11:17 - © Quarrata/news]
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