Presa di posizione di Tommaso
Braccesi e Gabrio Fini a favore della struttura ‘in dismissione’
SAN MARCELLO-MONTAGNA. C’era una volta l’ospedale “Lorenzo Pacini”, dal nome
di un antico benefattore. Piccolo ma organizzato, era uno spazio nel quale
tutti i cittadini della Montagna Pistoiese (e non solo) trovavano aiuto in caso
di malattia.
Regole da “economia di scala” e
valori numerici asettici tarati sulle grandi città hanno, via via, cercato di
chiuderlo, ma grazie all’impegno comune – della popolazione e di amministratori
attenti – il presidio ha beneficiato sempre delle deroghe necessarie
proseguendo a svolgere la sua preziosa funzione.
Un tempo non molto lontano
operavano, nel piccolo ospedale montano, professionisti formati alle migliori
tecniche di chirurgia – e ortopedici di talento – che curavano persone,
residenti o meno, che qui ricevevano cure mediche adeguate e trovavano anche,
cosa fondamentale, un’atmosfera familiare da ospedale “umano”. Lo sottolineò
molto bene, con sole cinque parole, l’ex ministro della Sanità Rosy Bindi che
durante una visita al “Pacini” ebbe a dire: “Qui sento aria di casa”.
Il Presidio ospedaliero montano,
con i suoi 112 posti letto, era uno spazio sicuro e accogliente. Ma all’improvviso
il mostro cattivo della riorganizzazione e dei tagli è piombato sulla Montagna
Pistoiese: ciò proprio mentre a Pistoia i costi preventivati per il nuovo
ospedale crescevano a dismisura e mentre a Massa Carrara qualcuno sembra
comprasse orologi e gioielli, con i soldi pubblici, fino creare 300 milioni di
euro di debito. Mentre altrove si sprecavano soldi, a San Marcello l’inflessibile
rigore si è mangiato non solo i posti letto ma pure l’anestesista, i chirurghi
e gli ortopedici.
Se nella nostra Asl3 si
continuano a dare costose e inutili consulenze, se esistono innumerevoli e
superflue strutture complesse – poco coerenti con una organizzazione snella ed
efficiente – con compensi da centomila (!) euro l’anno (8 mila euro ogni
mese!), se la spesa farmaceutica è da svariati anni superiore alla media
toscana (qualche milione di euro annui), se la struttura amministrativa dell’Asl3
è sovradimensionata (non si è ridotta col passaggio di funzioni all’Estav)
sottraendo così risorse alla clinica e ai medici impegnati in prima fila nei
reparti, se in provincia di Pistoia la media dei posti letto in rapporto alla
popolazione è una fra le peggiori d’Italia (con 2,1 posti letto ogni 1.000
abitanti): se tutto questo è vero, ed è purtroppo vero, chi pensa a chi abita
in montagna?
Dopo il taglio delle sedi in cui
lavorano le forze dell’ordine, dopo i tagli degli uffici postali e del trasporto
pubblico, adesso si chiude, nella sostanza, anche l’ospedale: alla faccia della
solidarietà e del principio di sussidiarietà.
Ci sarà un potenziamento della
“prevenzione” sul territorio (ma siamo sicuri che i medici di famiglia e le
guardie mediche siano davvero tutti pronti a creare poliambulatori aperti fino
a mezzanotte sette giorni su sette?); aumenterà la telemedicina (peraltro già
presente da diverso tempo in tutti i presidi ospedalieri dell’Asl3).
Aumenteranno i posti letto di area medica (6: ma forse con l’unico obiettivo di
aumentare le volte in cui i malati dovranno essere trasferiti all’ospedale di
Pistoia). Ma il servizio di Ortopedia, così prezioso in particolare nei mesi
invernali nelle vicinanze dell’Abetone, sarà concentrato solo nell’ospedale di
Pistoia, anche se è stata fatta una deroga fino al 7 aprile assicurando la
presenza dello specialista dalle 10 alle 18 nei weekend. E dopo? La risposta è
purtroppo facile: tutti a Pistoia.
Se fino a ora abbiamo potuto
avere, in Montagna, un’assistenza adeguata è anche perché, con dedizione, il
personale (medici, infermieri, collaboratori) ha dimostrato di credere nel
fatto che la sanità non è un lusso per pochi ma un diritto per tutti. L’errore
di fondo, in effetti, è pensare alla sanità come a un “lusso” che oggi non
possiamo più permetterci: si sta parlando di malati, di presidii, di cure, di
farmaci, non di uffici. Dovrebbero interessarci le persone concrete, non i
numeri teorici. E non è giusto spazzare via un ospedale solo per un decreto
firmato a Roma. Così non si fa altro che amplificare sempre di più differenze
già vistose.
Dispiace constatare che sia
proprio la Regione Toscana a operare tagli così ingiusti. Altra cosa sarebbe
stato avviare un dialogo con la comunità, in modo da capire quali servizi non
sono sufficienti e quali sono da aggiungere o da potenziare. Ben venga la
cosiddetta “casa della salute”, ma questo non deve escludere la presenza di un
vero pronto soccorso e di un presidio ospedaliero sia pure di piccole
dimensioni.
Tommaso Braccesi
Gabrio Fini
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[Martedì 22 gennaio 2013 | 12:34 - © Quarrata/news]
Parlavo con un contadino ora anziano, mi diceva che quando lavorava ogni 11 che producevano qualcosa c'era una persona per scrivere. Ora è il contrario. Sarà sostenibile?
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