lunedì 7 gennaio 2013

APNEA. GIOCANDO CON LE PAROLE, SULLE PAROLE E SULLE SINCOPI

di LUIGI SCARDIGLI

Il primo passo poetico di Walter Tripi – Uno scandaglio degli abissi delle profondità umane

PISTOIA. Quanti anni ha Walter Tripi? Non lo so. Probabilmente è solo un bambino che si atteggia a voler sembrare grande, un uomo; o è semplicemente un uomo che vorrebbe tornar bambino in modo tale da correggere, prima che non sia tardi, già, ma cosa?
La poesia è sicuramente una delle medicine meno efficaci che ci siano in circolazione; primo perché è difficilissimo prescriverla, se non impossibile, ma soprattutto, dunque non secondo, perché invece che guarire, sovente, peggiora la situazione, trasformando così un semplice e forse passeggero malessere in una forma cronica di dolore, come se si trattasse di un’Apnea.

Già, Apnea. È questo il titolo della raccolta di poesie che Water Tripi ha pubblicato, sul finire dell’anno da poco terminato, con la Fondazione Mario Luzi nella collana diretta da Mattia Leombruno, che si è cimentato nella disamina della prefazione.
Sono 47 le poesie raccolte nel volume ed è scontato sostenere come il poeta non sia lontanamente superstizioso; o lo sia a tal punto da volerla sfidare, la sorte, che vuole quel numero accostato alla morte che parla.
Dice l’autore che le poesie sono il frutto di un’immersione, senza bombole, ovviamente, iniziata sul finire del 2010 e terminata all’inizio dell’anno successivo. Un disperato tentativo di training autogeno che non ha dato assolutamente i frutti sperati, visto e considerato che le poesie son diventate raccolta e la raccolta, poi, ha conosciuto la vita editoriale.
Perché la poesia non può che far male, soprattutto quando appartiene a quella sagra delle sostenibili pesantezze del sembrare, dove quando si finisce, si è propensi, quasi chimicamente, ad andare spasmodicamente avanti verso un orizzonte irraggiungibile o fermarsi impietriti e disfarsi di ciò che ci ha solleticato l’angoscia.
Immagina Nubi tutto intorno Immergersi Essere dimenticati Dimenticare Essere dimenticati Essere ancora Non dimenticare Trattieni il respiro Trattieni la nebbia Respira la nebbia E poi il respiro, lento Non vedere ancora, ma respirando scegliere le nubi da indossare per sempre Indovinare e sorridere. Sotto questi titoli, dietro questi suggerimenti o nascosti da questi inguaribili traumi, si sviluppano le prose di Walter Tripi, un neo ermetico, della scuola luziana, che gioca con le parole, sulle parole e sulle sue sincopi, una morte e resurrezione costanti, non decifrabili scorgendo un elettrocardiogramma, ma avvertibili nella loro più insensata immagine, lasciandosi coprire dalla disperazione di chi chiede alla poesia di lasciarsi morire tra i tormenti.

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[Lunedì 7 gennaio 2013 - © Quarrata/news 2013]

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