di Luigi
Scardigli
Gli attori hanno fatto a gara a
superarsi, uno più bravo dell’altro, in novanta minuti di saggio puro
PISTOIA. Per onestà intellettuale dovrei esordire col dire che non
mi è piaciuto.
Ma farei un torto all’oggettività, nel senso più geometrico
del termine, e al gradimento, totale, riscontrato dalla sala, gremita, del
Manzoni, che ha assistito, salutandolo con un’ovazione lunga e rumorosa, tutto
il cast di John Gabriel Borkman, il
dramma di Ibsen riadattato per il palcoscenico dal regista Piero Maccarinelli e
che ieri sera ha inaugurato la stagione pistoiese.
Gli appunti, che suonano sinistri e un po’ sofistici, si
muovono su piano squisitamente umorale, perché sono profondamente convinto che
traghettare Ibsen nel terzo millennio – e come lui chiunque altro meriti di essere
riletto, studiato e non dimenticato – non
voglia assolutamente dire riprodurlo con spasmodica fedeltà, vestendo dentro,
fuori e nel linguaggio gli attori che lo interpretano. Che hanno fatto a gara a
superarsi, uno più bravo dell’altro, in novanta minuti di saggio puro, dove
ognuno, a diverse latitudini spazio-temporali, ha dato lustro di una meravigliosa
padronanza scenica e una grande dimestichezza emotiva.
Ma proprio durante la prima parte del dramma, quella
occupata dalla fredda, distante, subdola, pietosa e ferrea conversazione tra le
due sorelle (Della Rovere e Mandracchia), ho capito a cosa si riferisse
Lucrezia quando, nell’intervista rilasciatami nei giorni scorsi, mi ha parlato
di questo testo come di un convincente e impegnativo passaggio professionale.
Una scatola dura, profonda, che preferisce non ammettere parodie, perlustrazioni,
sovrapposizioni, contaminazioni, se non quelle sceniche, che sono sì,
minimaliste, ma geometricamente furiose, e ammantano l’intera immagine, tanto
al pianto terra, quanto al primo, nel bosco gelido, di quel fardello (u)morale
che striscia durante l’intera rappresentazione.
Massimo Popolizio, il bancario deriso, arriva in scena
quando le sorelle, che ne hanno ipocritamente condiviso la passione, hanno già
segnato il ritmo, con un figlio legittimo-illegittimo conteso per un reciproco
ricatto e merce di scambio e libertà fino alla sua ribellione, quando riesce a
scappare dai complessi edipici indottigli dalla madre e superare la balbuzie:
si capisce già, nonostante non sia sul palco, né si veda, di che pasta è fatto
quest’uomo che avrebbe sbancato il mercato se solo gli avessero concesso il
tempo di riaccreditare i titoli sottratti, indebitamente, ma lungimirantemente,
ai suoi risparmiatori.
Gli otto anni di reclusione, nei quali espia virtualmente
anche un matrimonio combinato con la sorella non desiderata, ne hanno solo
accentuato le visioni e indebolito il corpo, prostrato dal totale abbandono di
amici, amanti, illusioni. E soldi.
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Foto di Luigi Scardigli.
[Sabato 13 ottobre 2012 - © Quarrata/news 2012]
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