Intervento di Mauro Banchini
FIRENZE. Folgoranti, ieri sera su “Report”, quei minuti
dedicati a mostrare come funziona, ahimè troppo spesso, il meccanismo delle
interviste ai politici. I parlamentari più importanti (in genere sempre quelli:
non più di una ventina di persone) escono un attimo, trovano telecamere
servizievoli; in genere manca il giornalista (non ce n’è bisogno); fanno la
loro battuta, che finirà nel pastone, ripetendola varie volte se alla prima non
è venuta bene; e se per caso, poi, c’è lì attorno un giornalista che vuole
approfittare per una domanda vera, svicolano alla grande. E Milena mostrava il
Tg1! È stato facile, ieri sera, collegare questo con la questione delle
interviste “a pago” chieste dai gruppi politici pronti, pur di far apparire i
loro membri, a pagare emittenti televisive a loro volta disposte a chiudere un
occhio o due su vari aspetti (fra i quali, per i giornalisti, anche quelli
deontologici).
Personalmente, da cittadino-telespettatore ho sempre avuto sana
diffidenza e scarsa frequentazione per quegli spazi televisivi, ma anche
radiofonici, che ospitano certe comparsate istituzionali. Così come non leggo
mai, sulla carta stampata, i cosiddetti “redazionali”, altrettanto giro veloce
canale davanti all’altra pratica. Anzi: mi piacerebbe sapere se c’è qualcuno
che le guarda, queste trasmissioni di cosiddetta “informazione istituzionale”,
al di là dei politici “intervistati” e dei familiari.
Capisco le esigenze delle
emittenti. E so bene che tutto è in regola con la legge quando, in
sovrimpressione (ma, per me, dovrebbe restarci sempre. Per l’intera durata del
programma) compare l’avvertenza che non si tratta di uno spazio giornalistico
ma che, appunto, si è in presenza di uno spazio comprato. Ho tuttavia l’impressione
che certe modalità di “informazione istituzionale” andrebbero ripensate: anche
perché a giro c’è pure una grande sete di informazione vera e il giornalismo,
grazie anche al web, può oggi contare su dati e informazioni un tempo
impensabili.
Giusta la recente iniziativa dell’Ordine
di fare una indagine su Regione, Province e Comuni capoluogo per verificare
quanto sia diffuso, anche in Toscana, il fenomeno delle interviste pagate,
dunque non giornalistiche. Opportuno ricordare, anche nella civilissima
Toscana, la differenza tra “informazione” e “comunicazione” nonché l’esistenza
di una legge, la 150/2000, pure incompleta e forse superata, ma esplicita su
“fondamentali” che le istituzioni pubbliche, purtroppo anche in Toscana, spesso
ignorano. In quanti enti locali, medio-piccoli, i “comunicati stampa” li
mandano i sindaci o le segreterie? In quanti enti locali, anche grandi, il
“portavoce” sostituisce l’ufficio stampa? In quante realtà locali ci si rende
conto di quanto sia strategico tenere informati i cittadini (magari, se di
piccole dimensioni, attraverso uffici stampa associati) su come viene
esercitata la delega?
Lo scrivo proprio perché, ormai
da una vita, lavoro in Uffici Stampa di un ente pubblico importante come la
Regione. Con luci e ombre (non nascondo le ombre) il nostro lavoro – quello
degli uffici stampa di enti pubblici – produce, ad esempio, una mole (anche
troppo estesa) di comunicati e di conferenze stampa: queste ultime, salvo rare
eccezioni, ormai sono diventate uno strumento malgestito un po’ da tutti; i
primi sovrabbondano gli spazi sempre più limitati che i media tradizionali
hanno a disposizione. Cosa diversa per i media “nuovi”, per l’oceano del web.
Scrivo, semplicemente, per capire
se ci interessa (come categoria intera) una riflessione anche autocritica sull’informazione
dalla politica e dai palazzi istituzionali: come, noi degli Uffici Stampa,
diamo le notizie e come i media esterni le riprendono, le approfondiscono, ci
scavano dentro, le rilanciano. Ma anche come i politici, in un contesto di
(assai pericoloso, per me) populismo proclamato e praticato, intendono il loro
ruolo di eletti (o di … nominati) nei confronti dei cittadini.
Perché non tornare, tutti quanti,
alla semplicità e alla forza dei rispettivi ruoli? Con un ceto politico che
sappia, perché no, uscire dalle trappole della visibilità mediatica; con un
ceto giornalistico che, perché no, torni a fare il suo mestiere (ad esempio le
domande, ad esempio gli approfondimenti) sapendo di dover lavorare in favore
del diritto dei cittadini a essere informati; con editori capaci di capire che
se la notizia non è una “merce” come le altre, è però anche vero che con le
notizie si possono tenere in vita aziende sane; con istituzioni che si rendano
disponibili a sostenere, in modo trasparente, corretto ed efficace, esperienze
(anche innovative) di libera informazione; e con cittadini capaci di non
perdere in modo definitivo (ma già siamo purtroppo molto avanti) la
consapevolezza circa l’importanza di evitare le lusinghe, incrociate e molto
bipartisan, dei vari populismi.
La riflessione del collega e
amico Mauro Banchini apre una serie di interrogativi molto inquieti anche nella
nostra Provincia, sia nei confronti dei suoi organi istituzionali che in quelli
dell’area dell’informazione.
Il giornalismo è strozzato tra
chi comanda e chi deve sopravvivere: mentre chi dovrebbe vigilare – sempre più
spesso – interviene disconoscendo il contenuto dell’art. 21 della Costituzione.
Obiettivamente la preoccupazione
non è troppa se si pensa – anche per un solo momento – alla vicenda Sallusti...
e.b. blogger
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[Mercoledì 3 ottobre 2012 - ©
Quarrata/news 2012]
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