di LUIGI SCARDIGLI
La silloge presentata con a fianco
Giuseppe Grattacaso e Giacomo Trinci
PISTOIA. La potenza e il lirismo poetici di Roberto Carifi sono
conclamati. E non da ora, ma da tempo, molto tempo. È ragionevolmente e
autorevolmente uno degli elementi di spicco della poesia contemporanea
italiana, gotha nel quale è stato inserito, di diritto e dovere, già dai tempi
della sua prima pubblicazione, Simulacri,
edita da Forum nel lontano 1979.
Ieri pomeriggio, fiancheggiato da due
amici-colleghi, Giuseppe Grattacaso e Giacomo Trinci, il poeta pistoiese per
antonomasia ha presentato al pubblico la sua ultima raccolta, Il monaco e la luce (Lettere), che
segue, non solo cronologicamente, ma anche e soprattutto idealmente, la
precedente, Tibet.
Due raccolte che inseguono
l’inarrivabile zen del Buddhismo,
filosofia, pensiero, cultura che si è quasi del tutto impossessata dell’autore.
E dei suoi scritti. Che restano sublimi, semplicemente inarrivabili,
soprattutto per me e per tutti coloro che non hanno la condanna della luce o il
dono del buio di non essere assistiti da una fede così totale.
Mi tremano le mani nel pensare quello
che scriverò ora, ma devo trovare il coraggio di farlo: non mi entusiasma il
nuovo ermetismo carifiano, nonostante
condivida, fino all’invidia, le parole e gli aggettivi usati da Giuseppe Grattacaso,
nel pomeriggio, per parlare dell’ultima frontiera poetica di Roberto. Perché
ermetico, Roberto Carifi, lo è sempre stato e gli aggettivi di cui non ha mai
abusato, servivano, mostruosamente, indispensabilmente ed inderogabilmente, ad
incidere, a fuoco, nell’animo del lettore, la sua vena glaciale, perfida,
irriverente, indiscutibile, totale. Ma erano stagioni di confronto, anni nei
quali, Carifi, oltre che poeta, era anche professore e non poteva che sedersi
in cattedra: per spiegare, dunque insegnare, soprattutto comunicare.
Chiudo con la consapevolezza di correre
un rischio catartico, riportando, di seguito, Primo amore, contenuta nella raccolta Infanzia, che contempla la vena artistica dell’autore in una
forbice temporale sottesa tra il 1980 e il 1983:
Due che si toccano, incerti, lasciano
nei cortili un’occhiata
che vorrebbe restare
bambini cresciuti e piegati in due
dal primo amore, un solo passo
dove s’annienteranno toccando il gelo
e la febbre dell’aria
identici alla morte
che per ultima lascia la stanza
con fedeltà di marmo
e l’autunno ha fretta di nascere
in questo abbraccio umido
spietato.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
Foto di Luigi Scardigli.
[Giovedì 23 maggio 2013 | 08:36 - © Quarrata/news]
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