di LUIGI SCARDIGLI
Le disavventure di un invalido che ogni
giorno si incatena e a cui perfino Napolitano ha promesso aiuto
PISTOIA. Si incatena all’alba e si slega al tramonto. Lo fa per
cercare un giaciglio il meno disagiato possibile e trascorrere così la notte.
Marco Caruso, 53 anni, ha deciso che fino a quando il Comune e gli assistenti
sociali non gli garantiranno una sistemazione dignitosa, lui proseguirà la sua
silenziosissima battaglia contro l’ingiustizia,
piazzandosi dove il passo è maggiore: stamani lo troverete incatenato in piazza
San Leone, sotto la Provincia, ieri era in piazza San Lorenzo, posto ideale per
la sosta delle auto nei giorni di mercato. È lì che l’ho visto, nel pomeriggio.
E mi ha raccontato la sua vita.
«L’Odissea è nata nel 2008 – racconta Caruso con solerzia,
dettagli, anche giuridici, e una calma serafica che stride con il metallo delle
catene che lo tengono fermo sulla sedia –, quando
ho perso il lavoro ed è subentrata anche un’invalidità riconosciutami all’80%.
I primi due anni, nonostante l’umiliazione di essere diventato un peso, sono stato assistito con dignità.
Poi, a sentir quanto mi dicono gli addetti ai servizi sociali, i tagli sugli
stanziamenti hanno generato una drastica riduzione dei servizi, che hanno
voluto dire sfratto. Sono stato sistemato nel dormitorio pubblico, ma non sono
in grado di convivere con gente che sta addirittura peggio di me: persone agli
arresti domiciliari per motivi legati alla tossicodipendenza che conducono un’esistenza
incompatibile con la mia semplicità. Ho sopportato fino a quando ho potuto, ma
ora sono intenzionato ad andare avanti, costi quel che costi».
La pensione che percepisce supera di
poco i 500 euro mensili, soldi questi che gli bastano a stento per mangiare
tutti i giorni e comprare alcuni farmaci non convenzionati.
«Del mio caso se ne è anche occupata la Comunità Incontro –
prosegue Marco –, che si era impegnata ad assistermi economicamente nell’affrontare
la spesa dell’affitto di un monolocale; al momento della sottoscrizione del
contratto, però, nessuno riusciva a garantirmi l’anticipo di un mese richiesto
dal titolare e non se ne è fatto di nulla. Sono tornato al dormitorio pubblico,
ma è stata una guerra, dalla quale ho
preferito ritirarmi prima che iniziasse a scorrere sangue».
È tenace, Marco Caruso, e nonostante si
incateni, si lascia libere le mani, con le quali mantiene una fitta
corrispondenza con le autorità: ha addirittura scritto al Presidente della
Repubblica, che gli ha fatto sapere, con una risposta, che si sarebbe impegnato
a sensibilizzare le autorità locali,
«Sono già passati alcuni mesi – aggiunge – ma non ho ancora
saputo nulla. Non mi sembra di avere pretese esaudibili con difficoltà:
gradirei poter sopravvivere in un appartamento dove ci sono una stanza da
letto, per dormire, un bagno, per lavarmi e una cucina dove farmi qualcosa da
mangiare: con la mia modesta, misera pensione, non posso permettermi di
affrontare alcuna spesa. Una mano, dopo tanta sfortuna, credo di meritarla. Mi
spetta…».
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Foto di Luigi Scardigli.
[Giovedì 23 maggio 2013 | 08:01 - © Quarrata/news]
Marco Caruso - Un grazie sentito lo rivolgo al giornalista Luigi per l'articolo ben circostanziato.
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