martedì 1 gennaio 2013

ORNELLA. DAL DOLORE MAESTOSO DELLA SUA VOCE


di LUIGI SCARDIGLI

Per San Silvestro al Teatro Verdi di Pisa – Dilaniata dalla solitudine dipinta con i colori della stravaganza, il ‘mostro sacro’ riesce a uccidere il tempo e a popolare i suoi spazi terribilmente vuoti con i ricordi e le futilità

PISA. Speriamo che un dolce sonno, una di queste volte che sale sul palcoscenico di qualche teatro del Mondo, non la abbracci, all’istante, casomai mentre sta intonando le note di Tristezza. Chi? Ornella Vanoni. Quando? Quando non avrà più voglia di cantare e vista l’età, questa fatale congiura, potrebbe materializzarsi da un momento all’altro..

Ma fino a quando, la 79enne milanese, avrà nell’ugola, nel diaframma, nell’anima, nel cuore, nelle vene delle viscere e nei muscoli quella poesia, speriamo davvero che la sorte faccia un’eccezione, alla femmina della Mala milanese e che il Diavolo le consenta ancora linfa.
Sentirla vibrare, questa nonna che non ha ancora perso la voglia di farsi correre dietro dagli uomini, è ancora un lusso meraviglioso, che il pubblico del Teatro Verdi di Pisa, ieri sera, nella notte falsa, come false sono tutte le feste comandate, di San Silvestro, ha fatto bene a non perdersi, ascoltando i suoi si-bemolle per circa due ore.
Una divinità, una bestia feroce e solitaria della fauna musicale, una cantante semplicemente inimitabile, che non accontentandosi di sfidare il tempo, si è addirittura presa la briga di utilizzare metà del proprio anziano diaframma, esibendosi, per lo più, seduta su uno sgabello, circondata da tre sessionisti di nobilissima fattura: Edu Hebling al basso e contrabbasso (è lui, il direttore dell’orchestra-Vanoni), Paolo Vianello al piano e alle tastiere e Nicola Oliva alle chitarre. Nel mezzo, questa pantera inarrestabile, animata da uno spiccato senso dell’humor che con il tempo, oltre che ingentilirsi, si è andato ulteriormente raffinando, cancellando, del tutto, quel poco prendersi sul serio che le era rimasto.
Di serio, in Ornella Vanoni, cantante, attrice, onegirlshow, c’è soprattutto la voce, una spada insanguinata, una preghiera di dolore e di perdono, uno straziante canto della fine. Dilaniata dalla solitudine dipinta con i colori pastello della stravaganza, Ornella Vanoni riesce ad uccidere il tempo e a popolare i suoi spazi terribilmente vuoti con i ricordi e le futilità, quelle che sono fortunatamente svanite e dissolte nel corso degli anni, ma che la hanno traghettata fino a questo miserabile 2013. Non crede più nella possibilità che qualcosa possa cambiare, la compagna, segreta e pubblica, di Gino Paoli; e dipenderà forse da questo se, da qualche anno, anche lei, sadica e cinica, ha deciso di avvicinarsi a Gesù, che vorrebbe non somigliasse a quello nel quale invece, molti dei suoi coetanei, hanno sempre creduto.
Ma, con quelle corde vocali e con quella voglia di amare, amore e sesso che ancora le scuote il cuore, a Ornella Vanoni sono disposto a perdonare praticamente tutto, perché è un animale da proteggere, venerare e proiettare nello schermo del futuro per tutti quelli che credono di poter cantare.
Ho pianto tanto, ieri sera, mentre lei, prima in equilibrio sul un tacco 8 centimetri e poi, finalmente scalza, dopo il brindisi di mezzanotte, accennava ad una piccola parte del suo immenso repertorio canoro, privilegiando le canzoni che l’hanno scaraventata, dal 1960 in poi, anno di Senza fine, nell’Olimpo delle immortali, con le quali, da tempo, divide e condivide solo le numerosissime primavere, ma non certo la conduzione esistenziale, che continua a vederla in prima fila a tu per tu con il pubblico. Prima di quell’anno, incantata e sedotta da Strehler, Ornella Vanoni si era felicemente cimentata nel teatro pirandelliano, per poi dedicarsi, anima e corpo, alla musica; quella popolare e sofisticatamente melodica italiana e quella colta, straziante e raffinatissima, brasiliana, passando in rassegna tutta la crema della melodia carioca.
Ogni tanto rilegge e reinterpreta le sue melodie; altre volte si tuffa nelle canzoni di Modugno e Venditti, altre ancora omaggia l’amico e maestro Dalla, per poi arrivare ad eseguire, con la solita inimitabile raffinatezza, alcune incisioni, indelebili, di Jobim, Toquinho, Vinicius de Moraes e tutta la corrente intellettuale dei bossanovisti verde oro con la quale, in più di un’occasione, Ornella Vanoni ha collaborato, con quella perla targata 1997, Argilla, registrazione in studio che si impreziosisce della traduzione e rilettura di alcuni brani di Carlinhos Brown, il marito di un’altra stella del firmamento brasiliano, Marisa Monte, raccolti ed incisi in Alfagamabetizado.
Ho pianto tanto, ieri sera, perché non avrei potuto fare diversamente, con il tempo che scorre tra le mani, la malinconia che si materializza e prende la forma dell’impossibilità di poter cambiare il corso della vita del mondo, ma anche solo e semplicemente la nostra, una saudade amplificata e resa insopportabile dal dolore, maestoso, della sua voce, amorevolmente dedita, ancora, all’infuso alcolico del rosso di botte invecchiata, che la stordisce un po’, ma che non la fa cadere.

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Foto di Luigi Scardigli.
[Martedì 1° gennaio 2013 - © Quarrata/news 2013]

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