domenica 14 ottobre 2012

ARTE. GLI SPLENDORI DEGLI ANNI TRENTA A PALAZZO STROZZI


di Niccolò Lucarelli

FIRENZE. Gli Anni Trenta furono un decennio di grande vitalità in campo economico, tecnologico, sociale, e culturale, campo quest’ultimo, che vide protagonisti filosofi, musicisti, scultori, architetti, e pittori.
Smentendo quello che è il primo e superficiale giudizio, e cioè di anni esclusivamente dominati dalla barbarie totalitarista, la mostra Anni ’30. Arti In Italia oltre il Fascismo, che inaugura la stagione culturale di Palazzo Strozzi, vuole sollevare il velo sull’estrema eterogeneità stilistica dei tanti artisti che vissero quel periodo, inseriti in quello che fu un vero e proprio vortice di sviluppo in quasi tutti i campi, in Italia e all’estero; basti ricordare il gruppo dei ragazzi Via Panisperna, che aprì la strada alla fisica nucleare, i percorsi musicali di Stockhausen, la nascita dell’Iri, le leggi di uniformità bancaria, i voli transoceanici, il cinema sonoro, Husserl e Heidegger, Jung e Freud.

La pittura appunto, non mancò di far sentire la sua voce attraverso una capillare ricerca di nuovi stili, ma anche rifacendosi alla tradizione tardo-ottocentesca di Macchiaioli e Impressionisti; proprio questa eterogeneità smentisce l’onnipresenza dell’arte di regime, ed ecco spiegato quell’oltre del titolo, che fa (ri)pensare gli Anni Trenta come un grande laboratorio aperto ai nuovi sviluppi tecnico-scientifici.
Netta, in arte, la contrapposizione fra tardo-ottocentismo e avanguardia, che si può qui riassumere attraverso alcuni quadri della mostra. Il primo, Antiche mura, del romagnolo (ma fiorentino d’adozione) Achille Lega, è un classico paesaggio toscano che risente considerevolmente dell’esperienza macchiaiola e della scuola di Piagentina, rivisitate attraverso l’esempio di Soffici e Carrà; ancora sulla china della tradizione, Georgica di Lorenzo Viani ritrae la popolare Darsena viareggina con forti rimandi alla pittura di Giovanni Fattori, e l’ampiezza dell’orizzonte può facilmente essere accostata al paesaggio maremmano.
Dal lato delle avanguardie, spiccano nella sezione una Natura morta di Morandi, e Donna al caffè di Antonio Donghi. Morandi approfondisce lo studio di genere raggiungendo una corporea metamorfosi di ombre, con la forma dell’oggetto che cede alla densità del colore. Donghi, da parte sua, si inserisce nella corrente metafisica con un ritratto femminile che ben esemplifica gli anni Trenta, ed è stata scelta come immagine simbolo di questa mostra. Una scena da café society, mondana ma leggermente venata d’inquietudine come suggerisce la surreale immobilità della figura femminile, colta in una posa di annoiato fastidio. L’abito, di un cupo verde inglese, cui fa corona un basco nero à la Marlene Dietrich, contrasta con il pallore della pelle, mentre lo sguardo leggermente in tralice evita d’incontrare lo spettatore. Un piano americano che rimanda al cinema espressionista tedesco, di cui avremo occasione di riparlare.
Fra le altre opere esposte, citiamo Amici nello studio, di Renato Guttuso, i cui malinconici interni bohémien richiamano certe atmosfere di Cesare Pavese; le tre figure evitano ognuna lo sguardo nell’altra, ognuna persa nella sua fantastica solitudine. Un’atmosfera sognante, distaccata, non dissimile da La bella estate. Aeropittura, di Osvaldo Peruzzi, si inserisce invece nella corrente futurista, e dove il brivido del volo e della velocità è sintetizzato in un chiaroscuro dai contorni netti.
In un clima di intensi scambi culturali, tanti artisti italiani hanno lavorato all’estero, stabilendosi soprattutto a Parigi, ma non solo. A loro, e agli stranieri in Italia, è dedicata la sezione Artisti in viaggio, che rievoca soggiorni scapigliati fra le luci del Carrefour Vavin, della Potsdamerplatz o della Quinta Strada. Fortunato Depero ritrasse proprio l’ambiente newyorkese, in Grattacieli e tunnel, opera celebrativa in chiave futurista dell’architettura del cemento e dell’acciaio, che non sarebbe dispiaciuta a Sant’Elia. Vinicio Paladini, nel suo Complesso onirico nr1, rigonfio di suggestioni tedesche, riproduce quell’angoscia da Blaue Engel fondendo espressionismo e dadaismo; un magnifico nudo femminile, di possanza statuaria, una valchiria verrebbe da dire, indossa soltanto un paio di autoreggenti nere e sembra condurre una seduta di psicanalisi con un busto romano. Un dialogo con la Storia, una riflessione sulla china tragica che il mondo sembrava imboccare negli anni Trenta.
Nonostante l’eterogeneità fin qui osservata, si ebbero anche episodi di vicinanza fra arte e regime, come appare nella quarta sezione, intitolata Arte pubblica, e dedicata alle opere d’arte destinate alla promozione ideologica, sottoforma di murales e sculture. Sono qui in mostra molti bozzetti e disegni preparatori. Se il fascismo non riuscì comunque a far nascere uno stile “di regime”, bisogna però osservare che almeno i canali promozionali erano in sua mano: il complesso circuito delle mostre, biennali, triennali o quadriennali che fossero, erano organizzate dal sindacato degli artisti, che aveva il potere di promuovere o respingere i dissidenti o comunque i meno ortodossi.
Quell’armonia artistica tanto sospirata sembrò essere raggiunta sul finire del decennio, quando la mano dura totalitaria, ricalcando le orme del nazionalsocialismo, si fa sentire con le leggi razziali e l’epurazione degli artisti “degenerati”, oppure derisi in apposite mostre, come accade nel 1937 per Grosz, Kokoschka, Dix, Mondrian, e altri. Il regime preferiva di gran lunga temi patriottici come Il grano, di Gaudenzi, oppure Madre e figlio, di Ricchetti, appunto temi legati alla retorica fascista. Ma il lato oscuro degli anni Trenta emerge nelle opere di Dix e Grosz, ad esempio, che ritraggono figure umane quasi demoniache, intrise di sadismo e violenza.
La sezione finale è dedicata alla città di Firenze, e fra le opere esposte spicca Gli amici nell’atelier, di Guido Peyron, un’opera che richiama direttamente le atmosfere conviviali del Caffè Michelangiolo. E ancora Ottone Rosai, con scorci pratoliniani della vecchia Firenze, Soffici e Viani, con atmosfere dal sapore agreste.
Alle sezioni dedicate ai quadri, se ne affiancano di più specifiche, una legata al design, con un’esposizione di terrecotte e ceramiche, e una scelta di fotografie degli ambienti delle triennali, e una dedicata alla radio, mezzo di comunicazione che in quegli anni ebbe grande diffusione, e che vede qui riprodotta un’apparecchiatura del periodo.
Una mostra, questa, che permette di cogliere i vari aspetti della pittura degli anni Trenta, non solo tecnici ma anche psicologici e sociali, attraverso un intelligente accostamento di opere di correnti diverse. L’allestimento razionale (un omaggio al periodo?), e l’ottima illuminazione della sale permette di ammirare i quadri in tutta la loro bellezza. Si può cogliere la grandezza di questa feconda stagione culturale soltanto liberandoci dal pregiudizio per il quale la cultura artistica è necessariamente lo specchio del momento politico. E una mostra, se vuole considerarsi un successo, deve saper educare il visitatore a guardare l’arte con occhi nuovi, più aperti e consapevoli. E si può dire che una volta lasciata l’ultima sala, gli anni Trenta non appaiono più come un periodo segnato soltanto dalla barbarie totalitaria.
La mostra è ospitata nelle sale di Palazzo Strozzi, ed è vistabile tutti i giorni, dalle 9 alle 20, (il giovedì fino alle 23), fino al 27 gennaio. Tutte le informazioni per biglietti e prenotazioni sul sito www.palazzostrozzi.org.

Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Domenica 14 ottobre 2012 - © Quarrata/news 2012]

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