di LUIGI SCARDIGLI
Dopo il countryblues dell’apertura e il rock and roll di
ieri, stasera era il turno del brit-progressive – L’organizzazione sceglie le
sedie ma il vuoto si vede ugualmente
PISTOIA. È vero, sto scrivendo prima ancora di vedere all’opera
Steven Wilson, ma non mi occorrerà aspettare ancora altro tempo per raccontarvi
emozioni, impressioni e constatazioni relative alla terza serata del 34esimo
Festival di Pistoia.
L’organizzazione decide, onde evitare che la
piazza mostri desolanti e desolati angoli vuoti, di riempirla con le seggioline
azzurre. Certo, i Van der Graaf Generator e Steven Wilson sono protagonisti di
una scena musicale molto teatrale, ma siamo all’aperto, siamo in piazza, in una
piazza che trasuda ben altra memoria, oltre tutto.
Durante le esibizioni,
psichedeliche, kubrikiane, chi ha
avuto il biglietto in omaggio, ad esempio e sta in piedi ai lati della falsa
platea, non presta la dovuta e religiosa attenzione allo spettacolo e
preferisce parlare di tutt’altro: i concerti in piazza, al di là di ogni
ragionevole irriconoscenza, del resto, sono anche questo.
Nemmeno in considerazione delle
rispettive età dei tre protagonisti, sulla cresta dell’onda anglosassone e in
tutto il mondo già nel lontanissimo 1971, quando dettero vita al loro primo
album, Pawn Hearts. E non sarebbero
certo potuti essere i ragazzi della formazione J 27 - gruppo che ha avuto l’onore e l’onere di aprire la serata –
a cambiare il senso del terzo appuntamento: un rock chiassoso, urlato,
salvatosi in corner con l’omaggio, decente, offerto ai Tears for Fears nella
rilettura del loro brano più famoso, Shout.
Gli onori di casa – al di là della voce
di Angelablues, che ha letto i
comunicati sulla sicurezza al di qua del palco –, li ha fatti Luca De Gennaro,
noto speaker radiofonico, che ha curato, a notte fonda, il djset previsto per
questa rivoluzionaria 34esima volta
del Festival, forse un po’ troppo a caccia di una proposta così democratica,
questa edizione, e ardentemente desiderosa di soddisfare tutti i gusti che
corre seriamente e terribilmente il rischio di non fare contento nessuno.
Eh sì, perché oltre ai circa 4.000
spettatori registrati per la prima notte della cinquina festivaliera – meno di
quanto preventivato, tra l’altro, non solo da Tafuro e il resto della piramide
–, ieri e stasera la cassa ha pianto tagliandi. E incassi. Sono stato, sono e
sarò sempre un fervido difensore della manifestazione, per tutto quel che ha
voluto dire, per quello che rappresenta e soprattutto per quello che potrebbe
diventare; ma è forse il caso di mettersi intorno ad un tavolo e (ri)pensarlo,
questo Festival.
La città, quella che della
manifestazione ne farebbe volentieri a meno ma rinuncerebbe molto malvolentieri
al suo diretto e inevitabile collateralismo, osserva distratta e
disinteressata: è diventato il mercato
delle pulci colorate la vera attrazione; lo è sempre stato, anche all’esordio,
è vero, ma oltre al fiume di persone intorno alle bancarelle, tra foulards,
orecchini e profumi esotici, in piazza scorreva il sangue di un sogno.
E se di sognare non se ne vuol fare a
meno, occorre davvero fare in modo che un altro mondo, come un altro Festival,
visto che ci siamo, siano possibili.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
Foto di Luigi Scardigli.
[Venerdì 5 luglio 2013 | 22:51 - © Quarrata/news]
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