venerdì 19 luglio 2013

PORRETTA REGNO DEL SOUL


di LUIGI SCARDIGLI

Iniziata ieri sera, con ingresso gratuito, la 26esima edizione del Festival Da stasera a domenica le altre tre notti R&B

PORRETTA. Deve intervenire il Wwf, a salvaguardia del Porretta Soul Festival. No, non crediate che la manifestazione abbia evidenziato segnali di flessione. Tutt’altro. Ma in un era di capitalismo sfrenato, con preoccupanti segnali di violenza sempre meno strisciante e sempre più manifesta, in un periodo nel quale la scollatura tra paese reale e paese virtuale mostra forbici spesso incolmabili e non più ricucibili, il Parco Rufus Thomas – dove si svolge la manifestazione e ieri si è consumato l’esordio dell’edizione numero 26 –, rappresenta, davvero, un’eccezione. Che conferma la regola.

È l’unico palcoscenico, quello di Porretta, che non soffre la presenza di alcuna inferriata che separi artisti e pubblico. Sarà perché il pubblico, civilissimo e competente, sa che sul palco possono andare solo gli addetti ai lavori e gli artisti sono perfettamente consapevoli che prima e dopo la loro esibizione diventano, a loro volta, pubblico a pieni effetti e meriti. Sarà che lì, in quell’angolo di terra protetta, le cose sono sempre andate così, dove la polizia e i carabinieri preposti a controllare il flusso si confondono tra la folla festante. Sarà che i commercianti locali, che aspettano in gloria l’evento, non si lasciano mai scappare di mano il senso degli affari e anche ieri, nel bar attiguo all’ingresso del Parco, una birra e una coca-cola piccola, servite al tavolo, son costate 4 euro e 80 centesimi (ho conservato lo scontrino, eh)!
Molto, però, credo proprio che dipenda dalla mano di chi lo ha ideato, questo Festival Soul e, da sempre, portato avanti, Graziano Uliani, l’art director della manifestazione, ma anche l’anima e l’umore che regna, sistematicamente, a Porretta, prima, durante e dopo la manifestazione musicale. I nomi più appetiti inizieranno ad arrivare già dalla prima mattinata di oggi, in virtù del fatto che stasera, venerdì, si allestirà la prima delle tre serate a pagamento: 25 euro (65 in abbonamento).
«In questa cittadina – mi racconta Graziano Uliani tra un cambio-palco – il Soul piace a tutti. A me, non ne parliamo. E siccome è una musica di pace e d’armonia, credo proprio che la gente che popola questa rassegna divida e condivida anche la sua filosofia: gli esagitati, qui, al Parco Rufus Thomas, si trovano a disagio, non hanno l’attenzione che vorrebbero e allora preferiscono disertare».
Confermo, in pieno. E rilancio, perché nella passata edizione, ad esempio, al di là di non concedere nemmeno un metro di un solo scalino agli stolti, al Parco Rufus Thomas ci fu spazio per una questione di sensibilizzazione popolare: una ditta del circondario era a rischio chiusura; il palcoscenico, per un quarto d’ora, cessò di distribuire musica e chiese attenzione. La chiesero – e la ottennero, con tanto di applausi scroscianti – gli operai a rischio cassa integrazione e licenziamento.
Ieri sera non sono arrivato prestissimo, a Porretta, ma ho fatto in tempo per ascoltare le ultime tre esibizioni in scaletta di un fornitissimo gruppo, con un’imponente équipe di fiati alle spalle, il resto della strumentazione classica, una voce femminile, bianchissima, ma da vedere bene e l’altro vocalist del gruppo, l’anima della band, un gran bel ragazzo marcatamente statunitense, nello slang e nell’abbigliamento, nelle movenze e nel suo funk. Poi, però, quando ha presentato, prima di congedarsi, i dieci colleghi con i quali ha diviso per circa un’ora il palco, li ha chiamati uno ad uno, nome e cognome: tutti italiani, pronunciati senza la minima indecisione, decisamente innaturale per uno yankee tutto tondo.
«Mi chiamo Randy Roberts – mi ha confidato appena sceso dal palco e dopo aver ricevuto un sacco di complimenti da chi aspettava il proprio turno e da chi lo aveva già consumato –. Dammi il tempo di sciacquarmi e cambiarmi la camicia (letteralmente fradicia) e beviamo qualcosa insieme».
Parla romano e si chiama Randy Roberts: strano, ho pensato. Ma no, che non è strano. È nato a Roma, ma il papà era americano e in America ha trascorso gran parte della sua adolescenza. E coltivato i suoi sogni: somigliare, quanto bastasse, a papà Rocky, quello che spopolò in Italia negli anni ‘70, quello di Stasera mi butto, un rock ruspante, presentato a ritmo di danza caraibica, però.
«Fino a qualche tempo – mi ha raccontato Randy Roberts, seduti al bar a bere qualcosa dopo essersi cambiato – l’essere accostato a mio padre, essere sbrigativamente definito il figlio di Rocky Roberts, mi infastidiva. Poi , però, quando sono riuscito a crearmi una personalità del tutto mia, ho riscoperto il soul e la meticolosità di mio padre, la sua vis interpretativa, la forza ginnica dei suoi movimenti e ora, di questo legame, ne vado fiero».
Dopo Randy e la sua band, sul palco del Porretta Soul Festival, sale un’altra formazione italiana: alla voce c’è Sonia Capua. Faccio in tempo a lasciarmi sedurre, dal suo diaframma – non ci voleva molto tempo, perché avvenisse: è bravissima –, ma non perdo di vista Randy, perché la chiacchierata è appena iniziata e credo che ne abbia altre, di cose, da raccontarmi.
«Se pensi al padre che intendi tu – aggiunge Randy, irrobustendo le mie convinzioni di avere a che fare con un’anima nobile, oltre che una voce portentosa e un’agilità incredibilmente ritmica –, mio padre non è stato un buon padre: ma lo perdono, lo devo perdonare; non c’era mai. Però non mi ha mai tradito, meravigliato, deluso, fatto aspettare: mi ha sempre dato quello che ha potuto promettermi e lo ha sempre fatto nei modi e nei tempi diagnosticati. Te lo ripeto: da quando sono riuscito ad affrancarmi da quel nome e quel cognome così ingombranti, sono anche riuscito a riconquistare due ruoli fondamentali per la mia vita, ma forse anche per la sua, anche se non c’è più ormai da otto anni: il suo di padre e il mio di figlio».
Accanto al tavolino dove stiamo chiacchierando passano due strumentisti della sua band. Gli dicono che sono tutti al ristorante al di là della piazza, che lo aspettano lì.
«Ad ottobre, approssimativamente, uscirà il nostro Cd: non ti dico il nome della registrazione perché è ancora nel limbo: ma ti posso confidare che sono tredici tracce e che soprattutto è autoprodotto: mi sono fatto carico di questa scommessa non solo artistica, musicale, economica, ma anche morale, in tutto e per tutto; ho pensato ad ogni minimo dettaglio, nulla è stato lasciato al caso. Prossimamente andremo a presentarlo in Belgio, poi in Francia: qualcosa si sta muovendo, sono felicissimo. Lo so benissimo che questa band è una formazione che presto si sfalderà e che ognuno di noi proseguirà, da solo o in compagnia di altri, il proprio cammino artistico: ma ora siamo tutti insieme, ci stiamo credendo e la gente che ci ascolta ci apprezza e ci sorride»,
Il resto della chiacchierata ha visto rovesciarsi le parti: Randy ha iniziato a farmi delle domande ed io ho risposto, volentieri. Anch’io, come lui, ho avuto un padre che è stato una montagna troppo alta da scalare, ma è sempre stato presente.
Ed è per questo, forse, che non sono ancora riuscito a liberarmi dalla sua ombra.

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Foto di Luigi Scardigli.
[Venerdì 19 luglio 2013 | 07:44 - © Quarrata/news]

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