di LUIGI SCARDIGLI
Iniziata ieri sera, con ingresso gratuito, la 26esima
edizione del Festival – Da stasera a
domenica le altre tre notti R&B
PORRETTA. Deve intervenire il Wwf, a salvaguardia del Porretta Soul
Festival. No, non crediate che la manifestazione abbia evidenziato segnali di
flessione. Tutt’altro. Ma in un era di capitalismo sfrenato, con preoccupanti
segnali di violenza sempre meno strisciante e sempre più manifesta, in un
periodo nel quale la scollatura tra paese reale e paese virtuale mostra forbici
spesso incolmabili e non più ricucibili, il Parco Rufus Thomas – dove si svolge la manifestazione e ieri si è
consumato l’esordio dell’edizione numero 26 –, rappresenta, davvero, un’eccezione.
Che conferma la regola.
È l’unico palcoscenico, quello di
Porretta, che non soffre la presenza di alcuna inferriata che separi artisti e
pubblico. Sarà perché il pubblico, civilissimo e competente, sa che sul palco
possono andare solo gli addetti ai lavori e gli artisti sono perfettamente
consapevoli che prima e dopo la loro esibizione diventano, a loro volta,
pubblico a pieni effetti e meriti. Sarà che lì, in quell’angolo di terra
protetta, le cose sono sempre andate così, dove la polizia e i carabinieri
preposti a controllare il flusso si confondono tra la folla festante. Sarà che
i commercianti locali, che aspettano in gloria l’evento, non si lasciano mai
scappare di mano il senso degli affari e anche ieri, nel bar attiguo all’ingresso
del Parco, una birra e una coca-cola piccola, servite al tavolo, son costate 4
euro e 80 centesimi (ho conservato lo scontrino, eh)!
Molto, però, credo proprio che dipenda
dalla mano di chi lo ha ideato, questo Festival Soul e, da sempre, portato
avanti, Graziano Uliani, l’art director della manifestazione, ma anche l’anima
e l’umore che regna, sistematicamente, a Porretta, prima, durante e dopo la
manifestazione musicale. I nomi più appetiti inizieranno ad arrivare già dalla
prima mattinata di oggi, in virtù del fatto che stasera, venerdì, si allestirà
la prima delle tre serate a pagamento: 25 euro (65 in abbonamento).
«In questa cittadina – mi racconta Graziano Uliani tra un
cambio-palco – il Soul piace a tutti. A me, non ne parliamo. E siccome è una
musica di pace e d’armonia, credo proprio che la gente che popola questa
rassegna divida e condivida anche la sua filosofia: gli esagitati, qui, al
Parco Rufus Thomas, si trovano a disagio, non hanno l’attenzione che vorrebbero
e allora preferiscono disertare».
Confermo, in pieno. E rilancio, perché
nella passata edizione, ad esempio, al di là di non concedere nemmeno un metro
di un solo scalino agli stolti, al
Parco Rufus Thomas ci fu spazio per una questione di sensibilizzazione
popolare: una ditta del circondario era a rischio chiusura; il palcoscenico,
per un quarto d’ora, cessò di distribuire musica e chiese attenzione. La
chiesero – e la ottennero, con tanto di applausi scroscianti – gli operai a
rischio cassa integrazione e licenziamento.
Ieri sera non sono arrivato
prestissimo, a Porretta, ma ho fatto in tempo per ascoltare le ultime tre
esibizioni in scaletta di un fornitissimo gruppo, con un’imponente équipe di
fiati alle spalle, il resto della strumentazione classica, una voce femminile,
bianchissima, ma da vedere bene e l’altro vocalist del gruppo, l’anima della
band, un gran bel ragazzo marcatamente statunitense, nello slang e nell’abbigliamento,
nelle movenze e nel suo funk. Poi, però, quando ha presentato, prima di
congedarsi, i dieci colleghi con i quali ha diviso per circa un’ora il palco,
li ha chiamati uno ad uno, nome e cognome: tutti italiani, pronunciati senza la
minima indecisione, decisamente innaturale per uno yankee tutto tondo.
«Mi chiamo Randy Roberts – mi ha confidato appena sceso dal
palco e dopo aver ricevuto un sacco di complimenti da chi aspettava il proprio
turno e da chi lo aveva già consumato –. Dammi il tempo di sciacquarmi e
cambiarmi la camicia (letteralmente fradicia) e beviamo qualcosa insieme».
Parla romano e si chiama Randy Roberts: strano, ho pensato. Ma no, che non è strano. È nato a
Roma, ma il papà era americano e in America ha trascorso gran parte della sua
adolescenza. E coltivato i suoi sogni: somigliare, quanto bastasse, a papà
Rocky, quello che spopolò in Italia negli anni ‘70, quello di Stasera mi butto, un rock ruspante,
presentato a ritmo di danza caraibica, però.
«Fino a qualche tempo – mi ha raccontato Randy Roberts,
seduti al bar a bere qualcosa dopo essersi cambiato – l’essere accostato a mio
padre, essere sbrigativamente definito il figlio di Rocky Roberts, mi
infastidiva. Poi , però, quando sono riuscito a crearmi una personalità del
tutto mia, ho riscoperto il soul e la meticolosità di mio padre, la sua vis
interpretativa, la forza ginnica dei suoi movimenti e ora, di questo legame, ne
vado fiero».
Dopo Randy e la sua band, sul palco del
Porretta Soul Festival, sale un’altra formazione italiana: alla voce c’è Sonia
Capua. Faccio in tempo a lasciarmi sedurre, dal suo diaframma – non ci voleva
molto tempo, perché avvenisse: è bravissima –, ma non perdo di vista Randy,
perché la chiacchierata è appena iniziata e credo che ne abbia altre, di cose,
da raccontarmi.
«Se pensi al padre che intendi tu – aggiunge Randy, irrobustendo
le mie convinzioni di avere a che fare con un’anima nobile, oltre che una voce
portentosa e un’agilità incredibilmente ritmica –, mio padre non è stato un
buon padre: ma lo perdono, lo devo perdonare; non c’era mai. Però non mi ha mai
tradito, meravigliato, deluso, fatto aspettare: mi ha sempre dato quello che ha
potuto promettermi e lo ha sempre fatto nei modi e nei tempi diagnosticati. Te
lo ripeto: da quando sono riuscito ad affrancarmi da quel nome e quel cognome
così ingombranti, sono anche riuscito a riconquistare due ruoli fondamentali
per la mia vita, ma forse anche per la sua, anche se non c’è più ormai da otto
anni: il suo di padre e il mio di figlio».
Accanto al tavolino dove stiamo
chiacchierando passano due strumentisti della sua band. Gli dicono che sono
tutti al ristorante al di là della piazza, che lo aspettano lì.
«Ad ottobre, approssimativamente, uscirà il nostro Cd: non ti
dico il nome della registrazione perché è ancora nel limbo: ma ti posso
confidare che sono tredici tracce e che soprattutto è autoprodotto: mi sono
fatto carico di questa scommessa non solo artistica, musicale, economica, ma
anche morale, in tutto e per tutto; ho pensato ad ogni minimo dettaglio, nulla
è stato lasciato al caso. Prossimamente andremo a presentarlo in Belgio, poi in
Francia: qualcosa si sta muovendo, sono felicissimo. Lo so benissimo che questa
band è una formazione che presto si sfalderà e che ognuno di noi proseguirà, da
solo o in compagnia di altri, il proprio cammino artistico: ma ora siamo tutti
insieme, ci stiamo credendo e la gente che ci ascolta ci apprezza e ci sorride»,
Il resto della chiacchierata ha visto
rovesciarsi le parti: Randy ha iniziato a farmi delle domande ed io ho
risposto, volentieri. Anch’io, come lui, ho avuto un padre che è stato una
montagna troppo alta da scalare, ma è sempre stato presente.
Ed è per questo, forse, che non sono
ancora riuscito a liberarmi dalla sua ombra.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
Foto di Luigi Scardigli.
[Venerdì 19 luglio 2013 | 07:44 - © Quarrata/news]
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