di FELICE DE MATTEIS
Qualche dubbio sulle condizioni dell’operazione
e qualche domanda al Prof. Paci e al Comune di Pistoia – L’inghippo CII è stato risolto?
PISTOIA. Abbiamo anticipato, in un precedente post, che l’affaire
Capannone-Uniser di proprietà comunale, venduto a Fondazione Caripit, ci
lasciava perplessi.
Abbiamo anche scritto che i conti di
vendita/acquisto ci lasciavano piuttosto basiti e che una delle due parti aveva
fatto “l’affare”, perché già dalle premesse, risultanti dall’accordo
preliminare di vendita, era fin troppo evidente che “l’affare si doveva fare”.
Si doveva fare, ripeto.
Per farla breve, perché una parte di
documentazione allegata a questo post tutto chiarisce, ci sorge il dubbio che
sorgerebbe a qualsiasi “umano” se dovesse comprare casa e si ritrovasse a
sapere che l’edificio è parzialmente agibile, che c’è un contenzioso con una
ditta succhiasoldi che si chiama C.I.I. (Centro Innovazione Impresa che sulla
Montagna Pistoiese tutti rimpiangono…), ma che comunque, tutto può andare,
perché in questo caso il prezzo è giusto! Tanto più se – e lo ripetiamo come un
mantra – i soldi sono nostri: cioè di altri, cioè dei cittadini. Per chi non
desidera leggere i documenti allegati, perché questo è il nostro stile,
facciamo un piccolo riassunto.
E lo facciamo senza allusive
interpretazioni perché vorremo che Comune o Fondazione ci dessero, e vi
dessero, pubblicamente, lumi: cosa che eviteranno opportunamente di fare (c’è
da scommetterci) solo perché… sono ambedue democratiche e trasparenti. Perché,
e ci ripetiamo, sono soldi nostri e di tutti, comunque la si rigiri.
In sintesi:
- il Comune mette in vendita il capannone
- la Fondazione – unica offerente – propone €. 2.700.000
- il C.I.I., secondo legge, fa sapere di avere un contenzioso con il Comune, proprietario dell’immobile
- la Fondazione Caripit/Paci, dinnanzi a questa comunicazione, con raccomandata del 14/12/2011 A/R prot. 740, informa il Comune che non esistono le condizioni per sottoscrivere l’atto di acquisto, salvo poi dichiararsi disponibile a rendersi acquirente del fabbricato, purché siano eliminate le condizioni ostative.
Una domandina semplice, però, si impone:
il Comune ha rimosso o no le condizioni ostative della fallita C.I.I. del
curatore compagno Pileggi? La Fondazione “fortissimamente” voleva quell’opera
architettonica?
Dal rogito di acquisto, dal prezzo e
quant’altro, sembrerebbe proprio di sì.
Per il momento ci fermiamo a questo
preliminare perché è evidente che applicando il concetto che non è solo
giuridico, ma anche di normale buon senso (e i due termini dovrebbero coniugarsi,
ma purtroppo…) del “buon padre di famiglia”, chiunque decidesse di acquistare
un bene immobile a queste condizioni e con questi rischi, ci penserebbe non due,
ma tre, dieci, cento volte!
Quando si usano i soldi altrui, magari
per acquistare titoli spazzatura, però, certi parametri evidentemente non
contano e vale ancora il principio dei cattocomunisti, secondo il quale “quello
che è tuo è anche mio e quello che è mio è solo mio”.
Se qualcuno si stupisce del fatto che
non ho intinto ancora la penna nel veleno, come mi ha rimproverato Papa/Papà
all’inizio della nostra attenzione sulla sua Fondazione Caripit, posso
solo rispondere che nei miei secondi nomi, come si usava nel secolo scorso, non
c’è un Maramaldo, ma se i conti e gli allegati al contratto di acquisto non mi
tornano…
Buon San Jacopo, gente!
[Questo intervento è pubblicato come
espressione di libera critica ex art. 21 Cost.]
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Mercoledì 24 luglio 2013 | 10:23 - © Quarrata/news]
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