giovedì 22 agosto 2013

L’ITALIA CHE NON PUÒ SALVARSI. QUEL 68 DI CACCA CHE CI HA PORTATO A QUESTO FUTURO


di EDOARDO BIANCHINI

Il dramma di una civiltà caramellata alla Candy Candy dopo una rivoluzione fatta fallire

SO PER CERTO che mi farò un mucchio di nemici.
E com’è possibile, mi chiederete, dato che nessuno ti sopporta?
Lo so perché sto per affrontare di nuovo un discorso che non piacerà a nessuno: né di destra, né di centro, né di sinistra. Ma ditemi, sinceramente: un essere più o meno umano che ragiona con il proprio cervello, può stare zitto se non si ritira in Tibet e tronca qualsiasi forma di rapporto con questa civiltà futura che ormai è presente e che ci ha riportato al passato: a un passato da stomachevole libro Cuore?

Prendo in prestito un tiolo della Nazione, ma ce ne sarebbero esempi in tutti i giornali di questa Italia delle marionette e della cultura da Candy Candy.
L’elefantino dell’informazione pistoiese – come diceva negli anni 90 Giuliano Fontani, caposervizio del Tirreno – si augura che Marco, il centauro morto in un incidente, «possa sentire il rombo dei motori anche da lassù».
Siamo davvero, ormai, all’asilo di suora Adele, ai pensierini delle scuole elementari degli anni del Duce, alla piccola vedetta lombarda, al piccolo scrivano fiorentino, al tamburino sardo e giù fino in fondo all’abisso: insomma a quell’ammasso di diabete mellito che sbaglia la vita (truce, crudele, inarrestabile, pasoliniana: basta guardare politica e tribunali) per la recitina di fine anno dell’asilo del paese più piccolo e sperduto d’Italia e in una zona delle più depresse della Sila – senza offendere l’ultimo degli orsi rimasti.
C’era una volta un 68 fatto di rivoluzione e di rivendicazioni. Un 68 violento e reale come la vita. Un 68 in cui le donne – quelle che oggi sono professoresse e manager, quote rosa, professioniste e politiche e quant’altro, ma che si dipingono i fiorellini sulle unghie e che vanno a lavorare negli uffici pubblici con le ciabattine alla Sheherazade… – rivendicavano aggressivamente, protervamente, sprezzantemente, inarrestabilmente un loro ben preciso ruolo di assoluta indipendenza e parità. Un 68 in cui un fortissimo Partito Comunista Italiano, ancora caro al Signor Giorgio Napolitano, faceva questioni di carattere morale e chiamava il popolo alla lotta di classe e alla conquista di spazi sempre più ampi da lasciare, tutti, al bene comune della collettività e degli sfruttati dalla finanza e dal Capitale. Un 68 al quale – pur se non sembra averci mai partecipato – anche Vannino Chiti, l’uomo dell’improvvidenza della Toscana e della Breda, si è rifatto in uno dei suoi libri che, fortunatamente, cadrà con lui nel dimenticatoio.
Poi i comunisti decisero, con un salto di qualità, quale potesse essere la via da battere per prendere due piccioni con una fava: eliminare i socialisti e Craxi (pericolosissimi) e mandare in frantumi la balena bianca per prendere le redini della Nazione (?). E oggi siamo ridotti a un popolo di minus habentes che masticano frasette da Baci Perugina e giocano sui telefonini a rispondere – a non so che cazzo di numero che li frega – che cosa si fa con il luppolo, se la birra o l’aranciata; se Romeo e Giulietta sono di Verona o di Milano; se le lacrime sono dolci o salate: perché la cultura media italica è questa post-sessantottina tessuta da schiere di docenti che non hanno distinto il culo dalle quarant’ore; e il senso del comune sentire è quello tipico della telenovela ispano-americana delle lacrime (dolci o salate?) e degli entusiasmi improvvisi e devastanti da psico-instabili.
Ed è una tragedia vivere in una Nazione (?) di psico-inevoluti, definiti bamboccioni da quella sant’anima di Padoa Schioppa (postcomunista!), che non sanno cosa vogliono, ma che vibrano, come anime del Paradiso dantesco (anch’esso spiegato al volgo non da un Sapegno, ma da un Benigni, il che dice tutto), quando qualcuno dice loro le paroline magiche strappalacrime degli angeli con le alucce bianche e di un lassù indimostrato, mentre le sinistre (ma a ’ro stann?) hanno dimenticato Gramsci e il suo giudizio su preti e Manzoni, e tutti piangono: e applaudono se qualcuno si augura che Marco «possa sentire il rombo dei motori anche da lassù».
Se non sbaglio nel poema di Gilgamesh, il dio Enlil s’incazza come una belva e manda il diluvio universale perché un giorno, mentre fa la pennichella, gli uomini fanno un tal casino e un tal fracasso, da svegliarlo: e lui, giustamente, li affoga tutti – o quasi.
Speriamo di no, però. Speriamo che, molto più piamente e rispettosamente, Marco non senta, da lassù – se un lassù esiste, del che fortemente lasciatemi dubitare –, che silenzi e profondissima quiete leopardiana.
E speriamo che Dio non si svegli dalla pennichella – iniziata sin dalla domenica dopo la creazione: e si vede, data la sua assenza dal mondo… – e, per tutti questi rombi, parole inutili e insulsi applausi da telenovela ispano-americana, non s’incazzi e non ci mandi lo scioglimento totale dei ghiacciai e l’innalzamento delle acque di 15 metri, decimando un’umanità beota e insensata!

[Questo intervento è pubblicato come espressione di libera critica ex art. 21 Cost.]

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[Giovedì 22 agosto 2013 | 10:11 - © Quarrata/news]

5 commenti:

  1. Devo dire che, a parte qualche dettaglio, sulla cultura "Candy Candy", mi trovo - infelicemente - a concordare.

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  2. Il "tamburino" è ormai :-)sordo...e Sapegno io l' ho studiato a scuola, Benigni mi fa afa. E ringrazio il cielo.

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  3. Glielo ha detto Vannino al figlio che il truce Almirante,capo del MSI ( e quindi per accettata ed imposta vulgata,dei fascisti),in ogni suo comizio ripeteva sempre ai giovani la tesi della "nostalgia dell'avvenire"? I compagni scopiazzanti,son ridotti proprio male. Da Marx/Stalin/Lenin/Berlinguer a Giorgio Almirante. Rallegramenti!

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  4. Secondo lo Spadoni il paese di Chiti (Saturnana, Le Grazie, cosa...?) sarebbe un paese di montagna.
    Infatti lì c'è le Ande e il gusto ci guadagna.

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  5. complimenti per questa spietata, verace e condivisibile analisi, purtroppo vera e pienamente condivisibile
    mDB

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