di
Laura Gulia (*)
Sempre più
giovani di eccellenza decidono di lasciare l’Italia e di vivere all’estero
9 B. Cerco
il mio posto lungo il corridoio, mi siedo e il ragazzo accanto al finestrino mi
sorride.
È uno
studente americano e approfitta del weekend per conoscere l’Europa, gli sembra
così piccola. Quando mi chiede cosa faccio e gli rispondo I’m a PhD student sgrana gli occhi ed esclama Oh, you are a scientist!
A scientist, uno scienziato, è così che agli occhi
del mondo appare un dottorando.
Un anno
dopo la stessa domanda mi viene fatta su una cabinovia di San Vigilio da Günter, il maestro di sci. Non sono più uno
studente, ora sono Doctor. Non appena
capisce che non solo sono laureata, ma molto di più, comincia a darmi del lei e
quando si aprono le porte mi toglie gli sci dalle mani e li carica cortesemente
sulle sue spalle, mettendomi anche un po’ a disagio.
Quotidianamente
mi rendo conto che pochi in Italia sanno cosa sia un dottore di ricerca, il Doctor of Philosophy; i titoli di studio
sui moduli prestampati si fermano alla laurea e ricercatore non compare tra le professioni.
Questi due
episodi mi sono tornati in mente nei giorni che hanno seguito il terremoto in
Emilia; mi era già accaduto nella primavera del 2009, dopo il terremoto dell’Aquila:
in Italia i titoli accademici sono diventati un insulto. Professore è infatti un’offesa da dare a chi, quando parla, sa di
cosa parla mentre Presunto Scienziato
è riservato, da piccoli e grandi giornalisti, a coloro che giorno dopo giorno
cercano di capire come funzionano le leggi che governano la natura.
Grande
spazio mediatico viene dato invece a presunti conoscitori di fisica e geologia,
presunti (stavolta il termine è usato correttamente) perché del tutto privi di
competenze e titoli, per lo più sgrammaticati e mossi da interessi economici;
vengono messi sullo stesso piano pareri esperti e opinioni personali, riportate
con un linguaggio comune e di facile appeal. Lo stesso meccanismo di quei
politici che basano il proprio consenso sul motto Sono come voi. Altre volte invece, specie nei talk show televisivi,
dopo aver sentito il parere esperto si chiede un commento alla soubrette ospite
o al commentatore sportivo seduto una sedia più in là.
Lo
scienziato parla un linguaggio differente dall’uomo comune e al tempo stesso ha
una grande responsabilità: non può esternare intuizioni; un parere può essere
interpretato come una previsione. Ha inoltre la responsabilità di rendersi
conto che spesso l’interlocutore non ha i mezzi per comprendere: in un territorio
a rischio sismico come l’Italia il cittadino comune fa ancora confusione tra
intensità e magnitudo; non conosce la differenza tra previsione probabilistica
e previsione deterministica. Capita quindi che nel nostro Paese, e solo nel
nostro, il giorno dopo una scossa non si colpevolizzi chi ha costruito male ma
chi non ha predetto l’evento. E che si butti del fango su chi invece
rappresenta un vanto per l’intera comunità.
Così, se
da un lato non si fa altro che scrivere e chiacchierare su merito e giovani, dall’altro
ne viene offeso quotidianamente il lavoro, gettando discredito su impegno,
risultati, modelli e ideali.
Da cosa
credete che scappino via i cervelli in fuga?
(*) - Dottore
di Ricerca in Scienze della Terra.
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[Giovedì
14 giugno 2012 - © Quarrata/news 2012]
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