di LUIGI SCARDIGLI
Tutto il
teatro in piedi a applaudire Pennac e ‘L’occhio del lupo’ ieri in prima
nazionale
PISTOIA. È vero, era pieno soprattutto di studenti, ieri sera, il
Manzoni di Pistoia, ad assistere alla prima nazionale del riadattamento
teatrale de L’occhio del lupo, di
Daniel Pennac. Ma al termine della rappresentazione, un’articolata, simpatica,
originale e profondamente morale messinscena, anche i più grandi non si sono
sottratti dalla necessità di alzarsi in piedi ed applaudire, calorosamente,
tutti i protagonisti.
Ad iniziare da quelli del Funaro, il Centro culturale dell’omonima via pistoiese, che dopo
anni di sottotraccia, seppur sontuosa
e qualificata, è uscito allo scoperto firmando questa importante collaborazione
che non può che segnar l’inizio di un sodalizio che vivrà altri momenti
artistici di rilievo.
C’era anche lui, addirittura, Daniele Pennacchioni, un po’
troppo prima donna, ad esser sinceri,
ma l’occasione straordinaria glielo ha consentito, quasi imposto. Il
protagonismo dell’autore della favola però è stato perfettamente bilanciato
dalla bravura, straordinaria, mista ad una dose di eccessiva umiltà, forse, dei
due mattatori, Vincent Berger e Habib Dembelè, Africa e il lupo azzurro,
ma anche il mercante, il ghepardo, il dromedario, la iena, il leone e tutti i
personaggi, molti dei quali appartenenti al mondo animale, che popolano il
racconto. Una storia piccola, elementare, frutto della semplice osservazione e
della straordinaria immaginazione dell’autore, che trent’anni fa, in qualità di
professore liceale, passava, per recarsi a scuola, tutti i giorni davanti alle
gabbie dei lupi di un giardino zoologico.
Fu lui, Pennac, ad essere sollecitato dal fatto che uno di
loro, un siberian asky, trascorresse tutto il proprio tempo a fare avanti e
indietro all’interno della gabbia. Era rimasto solo, dopo la morte della
propria compagna e l’allora professore credette opportuno raccontarla, quella
storia. Affidò il tutto ad un osservatore d’eccezione, un bambino africano. E
da qui, il passo ai giorni nostri, ai migranti di Scicli, agli osservatori di
colore, è breve, brevissimo, naturale.
Parrebbe facile, giustappunto adolescenziale, mettere in
scena una sequenza di fertili e modificabili immaginazioni, ma senza l’audace
camaleontismo dei due attori, facilitati dalla mobilità dei piani di scena, l’operazione
L’occhio del lupo non sarebbe
riuscita tanto felicemente. Alla difficoltà oggettiva, aggiungeteci poi che si
recitava in francese e che nonostante la storia fosse nota a tutti quelli che
han popolato la sala, il teatro si sa, è ricco ed inimitabile per le
espressioni, le movenze, le scene, i respiri.
Sospeso, tra il palco e il tetto, un pannello, sul quale
sono apparse le conversazioni tradotte in italiano, ad un’altezza dove è stato
possibile leggere le traduzioni simultanee della recita senza distogliere lo
sguardo dalle movenze degli artisti, un piccolo e gradito esercizio visivo:
tenere un occhio sul palco e inviare l’altro un po’ più in su, a seguire il
testo.
Chissà quale dei due fosse quello del lupo.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
Foto di Luigi Scardigli.
[Domenica 27 ottobre 2013 | 11:50 - © Quarrata/news]
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