di LUIGI SCARDIGLI
A Palazzo Blu, a Pisa, mostra del padre della pop art
PISA. Non
se ne sarebbe potuto fare a meno, della sua stravaganza, della sua genialità.
E questo, Andy Warhol, lo capì presto,
tanto che appena fu in grado di liberarsi da spettri e persecuzioni, si mise ad inventare pubblicità. Certo, lo
faceva inconsapevolmente, in nome di
un’arte alternativa, fuori da qualsiasi schema, almeno quelli fino allora noti
e piacque così tanto, ai produttori della
felicità, che presto se lo contesero. Anticipò tutti, Warhol e lo fece con
una scaltrezza ed un’eleganza tali che nessuno si è mai permesso il lusso di
additarlo come un inimitabile venditore
di fumo.
Non a caso, all’inizio del percorso
guidato della mostra di alcuni suoi frammenti artistici, aperta al pubblico a Palazzo Blu, sui Lungarno pisani, c’è
una scheda biografica, segnata da alcune date cardine, anni compresi tra la
forbice del 1929, quando nacque, fino a quella del 1988, quando morì; momenti
essenziali della sua carriera che andò a braccetto con gli avvenimenti
mondiali: la politica, il gossip, le guerre, la musica, le dive, la
liberalizzazione dello spirito, tutto, ma proprio tutto, formato spot.
No, non si vendette mai al miglior
offerente: furono loro, i capitani delle multinazionali, che finse di
combattere, a cercarlo con il lanternino, assicurandogli massima libertà
espositiva. I ritratti? Ne bastava uno, tutti gli altri, identici, venivano verniciati, così come le fotografie,
anche quelle fatte alla macchinetta delle fototessere; le cuciva tra loro,
perfettamente uguali, fotocopie di fotocopie con la garanzia del colore,
lasciando bene in vista il filo con il quale, con tanto di ago, effettuava i
collage. Con lo stesso filo di lana intrecciava percorsi che diventavano
quadri, con le fotografie e gli autoritratti, a bizzeffe, anticipò il foto shop, anche se provocatoriamente al
contrario, così come con la telecamera: fissa su un personaggio, famosissimo,
ci mancherebbe altro; a fare tutto il resto ci penseranno i critici, che
qualcosa dovranno pur fare!
Un Adriano
Celentano che parla veramente americano, un Giulio Andreotti vestito hippie, Andy Warhol riuscì a calamitare un’intera
generazione, diventando un inestimabile punto di riferimento non solo per i
suoi naturali compagni di viaggio, da Nico a Jagger, dalla Taylor alla Monroe,
passando per Lou Reed, ma anche per Nixon e la Casa Bianca, con uno sguardo da
spettatore divertito dello scandalo Watergate, del fallimento bellicoso del
Vietnam e l’insopprimibile scalata al vertice di Mao.
Tutti in formato poster, fedelmente
riprodotti, da decenni, su t-shirt, pagine di pubblicità, scatolette di
alimenti commestibili, per uomini e animali; tutti colorati – perché sono i
colori a decretare gli umori e le angolazioni: la vita è sempre la stessa – un
performer straordinario che è stato un maestro per tutta la generazione
postuma, ad iniziare da una delle sue più grandi simultanee, la serba Marina
Abramovic.
Una mostra che va vista (resterà aperta
fino agli inizi del prossimo febbraio), con un prezzo del biglietto decisamente
ragionevole (10 euro), anche sul sito si parla di ingresso gratuito.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Sabato 28 dicembre 2013 | 10:57 - © Quarrata/news]
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