sabato 21 dicembre 2013

LA FIACCOLATA DELLA MEMORIA


di LUIGI SCARDIGLI

Ieri sera, 20 dicembre, in rigoroso silenzio e in memoria dei suicidi da crisi

PISTOIA. La tentazione è quella di voler dare, a questa tribù eterogenea, un nome, una bandiera, un’identità. Non ne hanno, di quelle che servono a titolare articoli e ad inserirli in un contesto definito: non sono di destra, né di sinistra, non sono grillini e non stanno con i nuovi forconi. Rappresentano loro stessi e quella parte d’Italia, stanca, stufa, praticamente di tutto, ma non ancora avvelenata al punto da perdere le staffe e trasformare l’indignazione in violenza.

«Vi prego, non ci attaccate etichette addosso, non ne abbiamo e non ne vogliamo avere – racconta Marco Poli, che la sparuta, ma motivata, comitiva della fiaccolata che ieri sera ha silenziosamente percorso le vie del centro pare aver nominato portavoce ufficiale –. Abbiamo il diritto di indignarci, sentiamo il dovere di farlo, perché se continuassimo a tacere, finiremmo per essere complici, inermi e irresponsabili, della deriva che un manigoldo di politici, tutti quelli della classe dirigente e finta opposizione, che stanno trascinando il Paese e i suoi cittadini onesti, la stragrande maggioranza, nel baratro».
Sul volantino distribuito questi giorni in città per reclamizzare l’avvenimento e produrre l’effetto sensibilizzazione, si legge Una Luce, Una Speranza…un’Italia, con un gioco di minuscole-maiuscole che non sono refusi, né distrazioni.
«Ai nostri cortei, pacifici, silenziosi, civili, vedrete solo e soltanto sventolare la bandiera tricolore, che è la nostra bandiera e di tutti quelli che hanno a cuore questo paese: è vero. Ognuno è responsabile di se stesso, non ci sono linee guida, ma non consentiremo a nessuno di manipolare la nostra protesta. Solo il tricolore, nessun simbolo, nessuno slogan che possa ricondurre questo movimento trasversale a qualche altra frangia».
La fiaccolata di ieri sera l’hanno indetta per ricordare i suicidi di stato, per colpa dei ladri di stato, contro il regime dei partiti, per il governo del popolo.
«I suicidi, ormai, si contano a ritmo quotidiano – aggiunge Marco Poli, un under 40 che lavora in una ditta privata –. Non è esplosa la follia, è implosa la depressione e qualcuno non riesce a reggere l’urto, la provocazione, l’umiliazione di vedersi cadere in rovina. C’è un’Italia che lavora e che produce onestamente che va tutelata: che il nostro grido, muto, ma sintomatico, arrivi fino a Roma e che tutti, indistintamente, si sentano responsabili del precipizio nel quale stiamo cadendo».
Con circa mezz’ora di ritardo rispetto al programma, parte il corteo, da piazza Mazzini. Al raduno si sono presentati non certo in molti, ma sono quasi tutti lavoratori, studenti, casalinghe e a quell’ora, le case, le rispettive dimore, reclamano la raccolta delle famiglie. Quasi tutti, nella mano, hanno un cero, acceso. Sfilano compostamente verso via Buozzi, giungono in centro e risalgono fino in piazza del Duomo passando per una delle viuzze che conducono sulla Sala. Poi, piccolo tratto di via Orafi e piazza del Duomo.
Le luminarie, che campeggiano sulla parete del Tribunale e che chiedono di venir quanto prima dismesse, stavolta sono utili: la nostra modesta digitale, senza quel fascio di luce, non sarebbe mai stata in grado di immortalare il girotondo fisso che inscenano nel bel mezzo della piazza. Prima e dopo il corteo, oltre ad alcuni vigili urbani che devono, necessariamente, bloccare il traffico per i minuti che servono al corteo per transitare, parecchi agenti della Digos.
«Temiamo che qualche facinoroso sia mosso da cattive intenzioni e voglia destabilizzare un corteo decisamente civile – dice uno di loro –. Siamo qui onde evitare qualsiasi spiacevole inconveniente».
Alla guida della fiaccolata, un pistoiese con marcato accento tedesco legge una sfilza di nomi e cognomi di uomini politici condannati: c’è Berlusconi, naturalmente, ma ci sono anche una valanga di rappresentanti di tutte le altre forze politiche; di destra, di sinistra, del vecchio e del nuovo centro. Ci sono leghisti e liberali, progressisti e vecchie faine.
«Siamo giunti ad un momento di non ritorno – vociferano silenziosamente alcuni di loro, mentre sfila lento quel corteo di esistenze apparentemente lisce –. Ci ascolteranno, ci devono ascoltare e se non ci sentiranno, non alzeremo la voce, ma torneremo a sfilare, civilmente, nelle vie della città».

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Foto di Luigi Scardigli.
[Sabato 21 dicembre 2013 | 08:46 - © Quarrata/news]

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