PISTOIA. Se qualcuno si fosse messo in testa – e cominciasse a ripetere dappertutto, tanto per screditare – che noi siamo favorevoli alla vendita dello stabilimento di Pistoia, la pianti sùbito.
Non siamo né favorevoli né contrari.
Per noi la Breda può restare. Per noi la Breda può andare in vendita secondo quelle regole di liberismo che lo stesso Pd, all’epoca dei suoi governi illuminati, ha sostenuto a spada tratta – anche se oggi questi princìpi gli stanno più che stretti; specie ai P(ost) D(emocratici) locali.
Si muove anche la Cgil nazionale per difendere la Breda.
Ma noi non siamo convinti che lo faccia per amor di fabbrica.
Siamo piuttosto dell’opinione che se ne tenti una strenua, estrema difesa solo per impedire quello che è un rischio molto meno ipotetico di quanto si possa pensare: il pericolo che, se tutto passa ad altri, il Pd non potrà più rimettere piede dentro i cancelli di via Ciliegiole, per cui il feudo dovrà chiudere i battenti e sbaraccare. E per Pistoia, forse, potrebbe essere un gran bene: perché finirebbe il freno dell’evoluzione e della ripresa della città.
Saremo in malafede?
Può anche darsi.
Ma non c’è legge di questo Stato – per lo più ispirato a regole comunistiche –, che ci imponga di non credere a ciò che è, più che credibile, possibile, se non addirittura in potenza e pronto a trasformarsi in atto da un momento all’altro.
La Breda, per Pistoia, è sempre stata quello che fu la Fiat per Torino. Ovviamente con i dovuti distinguo.
Solo che i tempi sono passati, ormai. Anche grazie a una politica di sinistra che ci ha portato dalla irriducibile lotta di classe alla irriducibile difesa oltranzistica dei privilegi della classe.
La classe (non certo operaia) ex-comunista ed oggi quattrinaia e succhiasoldi.
e.b. blogger
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[Giovedì 25 agosto 2011 – © Quarrata/news, 2011]
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