martedì 23 agosto 2011

PAROLA D’ONORE




 È qualche giorno che sto pensando di raccontarvi una storia straordinaria.
Lo sto facendo perché, all’inizio di agosto, spuntando da via degli Orafi diretto verso il Palazzo di Giano, incrociai lo sguardo con l’avvocato Umberto Michelozzi e la mia memoria si aprì all’improvviso.
L’avvocato Michelozzi io l’ho conosciuto negli anni 1975-77, quando, da dipendente comunale, fui distaccato alla Uil di Pistoia come segretario della categoria degli enti locali.
Erano anni più duri di questi. Molto meno democratici. Ma senz’altro molto più onorevoli assai.
In un momento in cui si parlava – pensate: anche allora! Anche quando la Federica non era ancora nata! – di soppressione degli enti inutili e delle Province; in un momento in cui esistevano ancora le Ipab (Istituti pubblici di assistenza e beneficienza), ma si andava verso l’applicazione ad esse del contratto collettivo nazionale di lavoro degli enti locali, uno strumento di conquista dei lavoratori, oggi negato dai governi di destra e di sinistra che hanno distrutto il mondo del lavoro in Italia: in quel momento iniziammo la contrattazione per l’applicazione di quel contratto alla Pelagia Romoli, che aveva sede dove oggi è ospitato l’ex-Provveditorato agli studi.
Fu lì che mi trovai al tavolo delle trattative con la gente del consiglio di amministrazione. Fu lì che conobbi Michelozzi, il dottor Festa (lavorava all’Intendenza di Finanza) e il presidente della Pelagia Romoli, il dottor Renzo Giacomelli. Ho intravisto anche lui in banca, all’inizio di Agosto.
Parola d’onore. Chiederete perché questo titolo ed eccovi accontentati.
Nella trattativa ci trovammo dinanzi un caso molto particolare di una dipendente che, in gravi difficoltà economiche, aveva preso prestiti per oltre 3 milioni delle vecchie lire. Ma tre milioni degli anni 75-77 non erano una bazzecola, quando uno stipendio era di 150-170mila lire mensili.
Si sa. In trattativa e nei passaggi da un regime a un altro, si può anche chiedere di prendere la spugna e di dare un colpo netto ai debiti – specie se chi dovrebbe pagare non ne è economicamente capace perché si è impegnato oltre le sue possibilità.
La mia proposta fu quella di azzeramento del debito contratto dalla dipendente in difficoltà. E il consiglio di amministrazione, con in testa Renzo Giacomelli, dinanzi alle mie richieste di mettere giù due righe, nero su bianco, mi rispose che sarebbe stato in difficoltà nel formalizzare un atto di regalìa così impegnativo dinanzi agli altri dipendenti.
Mi fu perciò chiesto di credere alla e sulla parola: e io che, contrariamente a quel che si dovrebbe fare, sono persona che crede ancora nella parola, risposi di sì. E mi fidai.
Al primo stipendio successivo all’accordo, sulla busta paga della dipendente indebitata sarebbe dovuta sparire la voce della rata di rimborso dei prestiti. E tuttavia quella persona mi telefonò e mi disse, molto amareggiata, che ancora le avevano operato la trattenuta e che lei era in grande difficoltà e disagio.
Allora non mi restò che telefonare, con molto disappunto, al dottor Giacomelli.
E Renzo – mi consenta di chiamarlo confidenzialmente per nome, con tutto il rispetto che ho ancor oggi per lui – mi rispose, con grande cortesia, che, se c’era stato un disguido, sarebbe stato sùbito corretto: parola d’onore! E così fu.
Anni dopo, fra il 91 e il 93, quando ero redattore al Tirreno per la pagina di Agliana-Quarrata-Montale, e Renzo Giacomelli era presidente degli industriali pistoiesi, grazie a Roberto Rapezzi, mio straordinario corrispondente da Quarrata, dètti la notizia che la Spagnesi di Quarrata si era fusa con la pugliese Natuzzi. E fu una bomba in anteprima nazionale: una notizia che spiazzò Giacomelli.
Ci incontrammo, per parlare, direttamente nella sede della Spagnesi in viale Europa. Ancora dinanzi, io e Giacomelli. E ancora con la stima e il rispetto di sempre da entrambe le parti.
E Renzo, un po’ imbarazzato perché avrebbe voluto dare lui la notizia, con gli industriali, su Il Sole-24 ore, mi confessò di essere stato bruciato da quella mossa, ma mi riconobbe che essa era l’unica cosa che poteva fare un cronista davvero attento ai fatti di cronaca. E lo fece come un uomo che sapeva stare alla parola: con animo cordiale, forte e sincero.
Dinanzi a pistoiesi così – Michelozzi, Festa, Giacomelli e agli altri del cda Pelagia Romoli – ecco: io mi tolgo tanto di cappello con ammirazione e profondo rispetto.

Parola d’onore!
E.B.
 Cliccare sulle immagini per ingrandirle.
[Martedì 23 agosto 2011 – © Quarrata/news, 2011]

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