di Luigi Scardigli
L’ho conosciuta circa venti anni fa, Barbara Casini, al Parterre, a Firenze, in piazza della Libertà: tornerò ad ascoltarla e vederla domenica sera (invito tutti i lettori di questo Blog a fare altrettanto), alla Rocca di Castruccio, come ospite d’onore della prima delle tre serate della decima edizione del Serravalle Jazz, una chicca partorita dalla volontà del suo direttore artistico, il signore, in tutti i sensi, Maurizio Tuci.
Ero lì per caso, quattro lustri or sono, quella sera, per sfuggire, in viaggio verso casa, al traffico autostradale. Uscii al casello Firenze Sud, con l’intenzione di riprendere la Firenze Mare a Peretola, attraversando tutta Firenze.
Era estate, faceva caldo, proprio come in questi giorni e arrivato in piazza della Libertà dai Viali, sentii della musica gradevole: era già tardi, inutile sbrigarsi. Per fortuna, pensai un attimo dopo averla conosciuta. Aspettai che terminasse l’esibizione e la avvicinai: erano i tempi che per scrivere di musica sulla pagina pistoiese de Il Tirreno, gli eventi, a Pistoia, me li procuravo.
La invitai da Titos, in vicolo de’ Bacchettoni, avvertendo i titolari, che si fidarono del mio buon gusto, visto che in quello straordinario bugigattolo, in quegli anni, ci avevo già portato Irene Grandi, Simona Bencini, Titta Nesti, Tiziana Ghiglioni, Claudia Tellini, Marco Di Maggio e molti altri musicisti fiorentini, dei quali, allora, non avrei potuto parlare e scrivere, se non facendoli suonare in città.
È ancora la stessa, Barbara; anzi, i 57 anni che si porta nel diaframma, oltre che nel cuore e nei ricordi, l’hanno ulteriormente ingentilita e nonostante si prodighi, con profitto e groove, in tutto il repertorio del jazz, il virus carioca che si porta nel sangue l’ha completamente sudamericanizzata. Potrebbe leggere il menù del ristorante, Barbara Casini e ascoltandola – casomai accompagnata da Enrico Rava, o Stefano Bollani, due tra i suoi preferiti sessionisti – si avrebbe l’impressione di essere a Bahia, sulle coste atlantiche, al tramonto, con il sole lontano a riscaldar quelle pacifiche. Perché suona e canta da oltre quarant’anni, Barbara Casini, e della musica conosce tutti gli aspetti, anche quelli reconditi, nascosti, implosi, invisibili; lo può fare, per un’innata e spiccata sensibilità, ma anche per quella laurea in psicologia presa all’Università di Padova, quando era ancora in tempo a lasciarsi attrarre da qualsiasi altro lavoro e professione.
Non si lasciò lusingare da studi professionali o carriere dietro una scrivania e ha continuato a cercarsi nella musica, trovandosi, più di una volta. Le è successo duettando con Lee Konitz, Francesco Petreni, Phil Woods, con la sua formazione, Outro Lado e le succederà, ne son certo, perché il morbo che la perseguita non l’abbandonerà mai, per il resto della sua vita, nascosto tra le lentiggini del viso, agli angoli delle labbra di un sorriso imbarazzante, sotto il palato di una deliziosa erre francese e ovunque attorno alla sua vitalità, semplicemente straripante, che diventa piccola, minuta, privata, buia e timorosa quando si spengono le luci e si accende la sua voce, che nasce dal cuore con il chiaro intento di farvi ritorno, al termine di ogni concerto.
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[Venerdì 26 agosto 2011 – © Quarrata/news, 2011]
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