giovedì 10 gennaio 2013

PAUL THOMAS ANDERSON. ‘THE MASTER’ NON È UN CAPOLAVORO


di LUIGI SCARDIGLI

PISTOIA. I mirabolanti, seppur lapidari, giudizi estetici che alcuni dotti cinematografici hanno lasciato come memoria ai posteri dopo la visione di The master, mi ha piacevolmente imposto di andare a vederlo. E non è certo per puro e sterile controcorrentismo se mi fregio di non essere assolutamente d’accordo con tanta benevolenza critica. Perché dicasi capolavoro, di una pellicola, quando si consuma un’equazione inscindibile: interpretazione, sito, trama.

Certe volte, a queste tre ricette, indispensabili, si aggiunge anche una colonna sonora che sovente è senza tempo (Ennio Morricone) e qualche altro dettaglio scenico non proprio vitale, ma se presente, quando sontuoso, più che piacevole.
Bene, The master, l’ultima pellicola di Paul Thomas Anderson, resa possibile dall’accoppiata Philip Seymour Hoffman e Joaquin Phoenix, non è un capolavoro come in molti hanno scritto: manca del tutto la trama (la storia è quella di Ron Hubbard, il fondatore di Scientology, la setta che tanto piace ai ricchi sfondati americani) e non veicola a nulla, se non a rifrangersi su se stessa, con sterile compiacimento; e se da una parte Philip Seymour Hoffman spadroneggia con disinvoltura nei panni di Lancaster Dodd, il leader di questa setta, Joaquin Phoenix invece, un marinaio alcolizzato e con parecchi problemi psichici reduce inoltre dalla seconda guerra mondiale, si muove in modo troppo cabarettistico in quelli di Freddie, squilibrando così, in modo innaturale, l’asse maestro-discepolo.
Consiglio ai colleghi addetti a celebrare o seppellire un film: parlatene bene, parlatene male, ma parlatene: onestamente!

Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Giovedì 10 gennaio 2013 - © Quarrata/news 2013]

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