sabato 18 maggio 2013

SE PIOVE CI VUOLE L’OMBRELLO


 di LUIGI SCARDIGLI


Emozioni e desideri diversi guidati da Sara Balducci e Romina Breschi al Funaro

PISTOIA. Pensavo che gli ombrelli aperti e disposti parallelamente sul palco fossero un modo per come rassicurare tutti gli attori che, Se piove ci vuole l’ombrello.
No, non avevano alcun bisogno di essere tranquillizzati i dodici protagonisti della recita di fine anno andata in scena, nel pomeriggio, al Funaro, perché era delle loro emozioni e dei loro desideri che le due registe, Sara Balducci e Romina Breschi, gradivano si parlasse.
E se ne è parlato. E pianto, anche. Perché i dodici attori che hanno allegramente, ma non anarchicamente, riempito la scena sono dodici ragazzi diversamente abili che godono comunque di proiezioni emotive degne ed abili come le nostre: è solo una questione di orizzonte, che si allontana se ci incamminiamo in avanti e regredisce se facciamo un passo indietro.

«Da ottobre a dicembre – racconta Romina Breschi a spettacolo terminato – ci siamo unicamente preoccupate di eseguire un lavoro laboratoriale, sul copro, sulla voce, sulle emotività. Da gennaio, sezionando, selezionando e lavorando sul patrimonio artistico ricevuto, abbiamo iniziato ad operare sul testo che hanno, in definitiva, scritto loro: abbiamo solo guidato i loro desideri, li abbiamo scenicamente ordinati, ritmati, musicati, ma sono stati loro gli artefici, gli iniziatori della trama, che si è avvalsa di immagini fantastiche, come quelle suggestive di Mary Poppins, un accidente teatrale che è solo servito per ambientare una scena già ricca, anzi, ricchissima, delle loro passioni».
«Il rapporto artistico comunque – tiene a precisare Sara Balducci – è quello che abbiamo privilegiato: se così non fosse, questo lavoro non avrebbe alcuna ragione d’essere: non è volontariato, non è un’alternativa farmacologica, ma una vera e propria sezione culturale figlia di abilità diverse, diverse dalle consuete e ordinarie percezioni».
Abilità diverse. Bisognerebbe rifletterci un po’ su questa terminologia che non è soltanto il frutto della totale e indispensabile trasformazione linguistica che intercorre tra la normodotazione e quell’altra: è la prima volta, ad esempio, da quando seguo il teatro, che gli attori protagonisti dello spettacolo mi abbiano dato la licenza di poterli fotografare durante la scena addirittura con l’uso del flash. La loro concentrazione e la loro tensione non sono certo minori rispetto a quelle di chiunque altro faccia teatro e spettacoli. Ma loro erano sul palco per sognare e i desideri viaggiano comunque, in religioso silenzio o in un caos babelico, con o senza flash.
Quando sono diversi, poi, non ne parliamo proprio.

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Foto di Luigi Scardigli.
[Sabato 18 maggio 2013 | 20:31 - © Quarrata/news]

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