di Luigi Scardigli
Le poesie di Roberto Carifi iniziano sempre dove dovrebbero iniziare e finiscono esattamente dove dovrebbero finire.
Quando a decantarle, poi – come è successo ieri sera al nuovo Moderno di Agliana, per l’arrivederci di luglio – ci pensano uno dei suoi allievi prediletti, Roberto Bartoli e uno dei suoi più illustri antagonisti, Alessandro Ceni, il suono si fa ancor più nitido e cupo, l’odore, acre e intenso, la paura acquista quel coraggio leonino e la tela assume, immediatamente, sagome e colori inaspettati, svolgendosi e rivelandosi, nel brevissimo lasso di tempo di una lettura, anche al più distratto destinatario.
Quelli presenti ieri sera al Moderno di Agliana però erano, ovviamente, tutti muniti di patente e passaporto per lasciarsi trasportare, gratuitamente, o pagando prezzi altissimi, attorno all’impercettibile cosmo del poeta, che si è sempre nutrito di tutti i richiami della vita e dell’anima per essere invitato ai banchetti quotidiani, dove è riuscito a sopravvivere seppur solo spiluzzicando le poche briciole lasciategli, con invidia e disprezzo, dall’altrui ingordigia.
Perché è lento, lentissimo, l’incalzare e il procedere di Roberto Carifi, incapace di seguire la supersonica velocità dei propri scritti, atmosfere inconcepibili, immagini insuggeribili, lamenti impercettibili, passioni inenarrabili, dolori incurabili, gioie incredibili, racconti notturni di incubi vissuti e realtà diurne mai riuscite a sognare.
Solo gli applausi, distribuiti con attonita parsimonia al termine di ogni singolo ciclo di letture dal pubblico presente, hanno paradossalmente destrutturato l’immaginaria costruzione che si è innalzata, ieri sera, d’incanto e all’improvviso, verso il cielo stellato e distratto sopra il Moderno per poi rovinare, silenziosamente su se stessa, con analogica noncuranza e magìa, al termine del reading.
Nulla di più, nulla di meno, nulla che non fosse indispensabile all’angosciante compagnia del nostro inesorabile cammino.
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[Martedì 2 agosto – © Quarrata/news, 2011]
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