giovedì 15 dicembre 2011

PROPRIO COME DUE DI NOI, PARDON, DI LORO


di Luigi Scardigli


«Qualche numero ce l’ho, me ne accorgo, ma credimi, la mia carriera è figlia di una serie innumerevole di felici coincidenze: ho avuto un gran culo, se si può dire, io e scrivere, tu».
È iniziata così, sull’uscio dell’uscita di sicurezza del teatro Manzoni, la chiacchierata che ho avuto il piacere di fare nella tarda mattina con Emilio Solfrizzi, coprotagonista, con Lunetta Savino, di Due di noi, la commedia di Michael Frayn diretta da Leo Muscato che domani sera, in prima nazionale, debutterà al Manzoni.

«Sai, a Bari, dove sono nato nel 1962 – è così proseguita la conversazione che ha volutamente evitato di parlare della commedia ampiamente dibattuta poco dopo in conferenza stampa – era pressoché impensabile sopravvivere facendo l’attore. Terminati gli studi secondari, il liceo, me ne sono andato all’Accademia navale a Livorno, ma poi la mia vita si è incrociata con quella di un amico ancora inseparabile e ne godo tuttora i benefici. Sì, perché lui, invece che sfasciarsi il cervello di canne come succedeva un po’ ovunque ai ventenni della mia generazione, era del tutto rapito dal teatro; e da lì sono partito».
Il passo è breve, come suol dirsi, perché poi, oltre a divertire in modo spassosissimo tutta la Puglia, Emilio Solfrizi entra, con la leggerezza di chi sa che è tutto un gioco di meccanismi precari, equilibri approssimativi, fortune improvvise, prima in televisione e poi al cinema, come uno di noi.
«Non vorrei caricare di retorica e luoghi comuni quanto ti sto dicendo, ma per quello che mi riguarda, il battesimo dell’arte me lo ha dato mio padre: quando avevo 25 anni ho aperto, a Bari, un teatro e lui, ogni sabato, è venuto a vedersi gli spettacoli che rappresentavamo, pagando puntualmente il biglietto. Avrebbe preferito, di me, che calcassi altre scene, come quelle ospedaliere, ad esempio, intraprese da mio fratello. Ma mi ha sempre lasciato fare, senza darmi nulla: ho imparato a sopravvivere a mie spese e con la mia volontà; questo è il mio teatro, sul quale preferisco riderci sopra, che è meglio e che è l’unica cosa che so fare. Perché se quel mio amico fosse stato un falegname incallito, avrei lavorato il legno tutta la vita, ridendo del truciolato, anziché dei copioni».
Con Due di noi, Solfrizi, ma anche la compagna di scena, Lunetta Savino, si sono messi all’anima di rappresentare qualcosa di assolutamente normale, accadibile, verificabile, quotidiano e proprio per questo assai più complesso e artificioso del fantascientifico: un gioco di apparente normalità che ha bisogno, proprio rispettando gli intenti di Michael Frayn, di tutta una serie di dettagli e ammennicoli scenici che non possono non godere di rodato rodaggio. Il risultato commediografico infatti è la risultante di vari accidenti di percorso che approfittano, nella loro catarsi, di due cinture nere, come quelle pregevolmente indossate da Solfrizi e Savino.
«È una storia, anzi, ne son tre, la commedia, veramente spassosa, tre situazioni anglosassoni degli anni ’70, che, per il gap culturale, sono, da noi, in questi tempi, terribilmente attuali, dove l’apparente quotidianità stride parecchio con la difficoltà di immedesimazione nei vari ruoli, portati ovviamente all’esasperazione da esigenze teatrali. A lavorarci sopra, in modo serio, meticoloso, duro, ci siamo divertiti un sacco un po’ tutti quelli che ci hanno messo le mani: credo che domani sera, in scena, sarà quello che il pubblico potrà soprattutto constatare».
Lo spettacolo è previsto per domani sera, ore 21, teatro Manzoni. Tre scene: le prime di venti minuti ciascuna, la terza, che è il collante delle precedenti e il gancio per altre future interpretazioni, forse, di circa un’ora.
Certo, di Lunetta Savino, però, non vi ho detto nulla: sarà per un’altra volta, non mancherà l’occasione. È brava, è seria, è professionale; si sta asfaltando la strada a suon di studi, sacrifici e rinunce, anziché di isole famose. Se sulla porta socchiusa dell’uscita di sicurezza del teatro Manzoni, stamani, poco prima delle 12, avessi incontrato lei, a fumare, anziché Emilio, vi avrei raccontato la sua storia che, e chissà, forse somiglia, per dinamiche accidentali, a quella che vi ho appena accennato.
Ma anche no, proprio come due di noi, pardon, di loro!

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[Giovedì 15 dicembre 2011 – © Quarrata/news 2011]

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