di Luigi Scardigli
«Qualche numero ce l’ho, me ne accorgo, ma credimi, la mia
carriera è figlia di una serie innumerevole di felici coincidenze: ho avuto un
gran culo, se si può dire, io e scrivere, tu».
È iniziata così, sull’uscio dell’uscita
di sicurezza del teatro Manzoni, la chiacchierata che ho avuto il piacere di
fare nella tarda mattina con Emilio Solfrizzi, coprotagonista, con Lunetta
Savino, di Due di noi, la commedia di Michael Frayn diretta da Leo
Muscato che domani sera, in prima nazionale, debutterà al Manzoni.
«Sai, a Bari, dove sono nato nel 1962 – è così proseguita la
conversazione che ha volutamente evitato di parlare della commedia ampiamente
dibattuta poco dopo in conferenza stampa – era pressoché impensabile
sopravvivere facendo l’attore. Terminati gli studi secondari, il liceo, me ne
sono andato all’Accademia navale a Livorno, ma poi la mia vita si è incrociata
con quella di un amico ancora inseparabile e ne godo tuttora i benefici. Sì,
perché lui, invece che sfasciarsi il cervello di canne come succedeva un po’
ovunque ai ventenni della mia generazione, era del tutto rapito dal teatro; e
da lì sono partito».
Il passo è breve, come suol dirsi,
perché poi, oltre a divertire in modo spassosissimo tutta la Puglia, Emilio
Solfrizi entra, con la leggerezza di chi sa che è tutto un gioco di meccanismi
precari, equilibri approssimativi, fortune improvvise, prima in televisione e
poi al cinema, come uno di noi.
«Non vorrei caricare di retorica e luoghi comuni quanto ti
sto dicendo, ma per quello che mi riguarda, il battesimo dell’arte me lo ha
dato mio padre: quando avevo 25 anni ho aperto, a Bari, un teatro e lui, ogni
sabato, è venuto a vedersi gli spettacoli che rappresentavamo, pagando
puntualmente il biglietto. Avrebbe preferito, di me, che calcassi altre scene,
come quelle ospedaliere, ad esempio, intraprese da mio fratello. Ma mi ha
sempre lasciato fare, senza darmi nulla: ho imparato a sopravvivere a mie spese
e con la mia volontà; questo è il mio teatro, sul quale preferisco riderci sopra,
che è meglio e che è l’unica cosa che so fare. Perché se quel mio amico fosse
stato un falegname incallito, avrei lavorato il legno tutta la vita, ridendo
del truciolato, anziché dei copioni».
Con Due di noi, Solfrizi, ma
anche la compagna di scena, Lunetta Savino, si sono messi all’anima di
rappresentare qualcosa di assolutamente normale, accadibile, verificabile,
quotidiano e proprio per questo assai più complesso e artificioso del
fantascientifico: un gioco di apparente normalità che ha bisogno, proprio
rispettando gli intenti di Michael Frayn, di tutta una serie di dettagli e
ammennicoli scenici che non possono non godere di rodato rodaggio. Il risultato
commediografico infatti è la risultante di vari accidenti di percorso che
approfittano, nella loro catarsi, di due cinture nere, come quelle
pregevolmente indossate da Solfrizi e Savino.
«È una storia, anzi, ne son tre, la commedia, veramente
spassosa, tre situazioni anglosassoni degli anni ’70,
che, per il gap culturale, sono, da noi, in questi tempi, terribilmente
attuali, dove l’apparente quotidianità stride parecchio con la difficoltà di
immedesimazione nei vari ruoli, portati ovviamente all’esasperazione da
esigenze teatrali. A lavorarci sopra, in modo serio, meticoloso, duro, ci siamo
divertiti un sacco un po’ tutti quelli che ci hanno messo le mani: credo che
domani sera, in scena, sarà quello che il pubblico potrà soprattutto constatare».
Lo spettacolo è previsto per domani
sera, ore 21, teatro Manzoni. Tre scene: le prime di venti minuti ciascuna, la
terza, che è il collante delle precedenti e il gancio per altre future
interpretazioni, forse, di circa un’ora.
Certo, di Lunetta Savino, però, non vi
ho detto nulla: sarà per un’altra volta, non mancherà l’occasione. È brava, è
seria, è professionale; si sta asfaltando la strada a suon di studi, sacrifici
e rinunce, anziché di isole famose. Se sulla porta socchiusa dell’uscita di
sicurezza del teatro Manzoni, stamani, poco prima delle 12, avessi incontrato
lei, a fumare, anziché Emilio, vi avrei raccontato la sua storia che, e chissà,
forse somiglia, per dinamiche accidentali, a quella che vi ho appena accennato.
Ma anche no, proprio come due di noi,
pardon, di loro!
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[Giovedì 15 dicembre 2011 – ©
Quarrata/news 2011]
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